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“Allegoria della Calunnia” di Sandro Botticelli


“Allegoria della Calunnia” (1491-95) di Alessandro Filipepi detto Sandro Botticelli, Gallerie degli Uffizi, Firenze.

A cura di Manuela Moschin

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“Allegoria della Calunnia” (1491-95) è un’opera di Alessandro Filipepi detto Sandro Botticelli (Firenze 1445-1510), la cui raffigurazione deriva da un dipinto perduto del pittore greco Apelle (sec. IV a.C.), del quale siamo a conoscenza tramite una testimonianza tramandata dal letterato Luciano di Samosata (sec. II). Pare che l’opera di Apelle abbia qualche riferimento con un periodo della sua vita, in cui venne accusato ingiustamente di avere tramato contro il re Tolomeo Filopatore. La composizione descrive un preciso istante che va letto da destra verso sinistra. La narrazione inizia dunque dal re, con le orecchie d’asino, seduto su un trono nei panni di un giudice. Il riferimento alle orecchie d’asino deriva dalla punizione inflitta dal dio Apollo al re Mida per via di una disputa giudicata male. Il re è in compagnia dell’Ignoranza e del Sospetto che lo stanno mal consigliando. La figura con il cappuccio marrone è il Livore, ossia il rancore vestito di stracci che tiene per il braccio la Calunnia, la quale si trova assieme all’Insidia e a Frode, che le stanno acconciando i capelli. La Calunnia, mentre sorregge una fiaccola senza luce, come simbolo della falsa conoscenza, trascina il Calunniato. A seguire compare la Penitenza, una donna vestita di nero che guarda la Veritas, la dea della verità che indica il cielo. Il tema deriva dal mondo greco-romano con personaggi tratti dalla Bibbia, dalla mitologia e dalla letteratura medievale. L’assenza di giustizia è l’argomento cardine del dipinto, il cui significato è legato alle insicurezze politiche e sociali sorte dopo la morte di Lorenzo il Magnifico e le prediche di Girolamo Savonarola. Il dipinto è ampiamente decorato da statue, rilievi e fregi, con un portico orientato verso il mare. Le magnifiche cromie e le architetture vibrano in armonia con il dinamismo delle figure, che si atteggiano come in una quinta teatrale. È probabile che, per la realizzazione dell’opera, abbia collaborato anche Bartolomeo di Giovanni (Firenze 1458-1501). L’opera è conservata alle Gallerie degli Uffizi, Firenze.






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