A cura di Paolo Beretti
“Vi vuol altro che rubare qua e là de' pezzi antichi e raccozzarli assieme senza giudizio per darsi valore di grande artista! Conviene sudare dì e notte su' Greci esemplari, investirsi del loro stile, mandarselo in sangue, farsene uno proprio coll'aver sempre sott'occhio la bella natura, col leggervi le stesse massime”.
(da una lettera di Antonio Canova a Quatrèmere de Quincy, letterato francese).
Dopo aver introdotto, con il mio precedente intervento, vari aspetti legati alla scultura passata alla storia come "Gladiatore Borghese" (che gladiatore invece non era), passo ora allo studio di un disegno eseguito da Antonio Canova, il quale, nel corso dei suoi studi giovanili, copiò il "gladiatore" quando si trovava a Roma. Data la mia avversione per la riduzione nozionistica, anche in questo caso vedrò di allargare l'orizzonte dall'analisi del puro foglio da disegno, per capire tutto il contesto che ci orbitò intorno.
Il disegno in questione rappresenta in modo completo e dettagliato uno dei punti di vista della statua, che servirà da modello per alcune opere dello scultore veneto: come studio anatomico, come tipologia di posa dinamica e soprattutto per la riproposizione in chiave moderna dei valori che quell'opera tramandava dall'epoca antica.
Mentre il disegno venne gelosamente custodito dall'artista nei suoi album, ora conservati al Museo Civico di Bassano del Grappa (nel Gabinetto dei disegni e delle stampe, di cui ringrazio il conservatore per avermi mostrato l'originale), la scultura rappresentata sul foglio di Canova fu invece acquistata da Napoleone ed è ora esposta al Museo del Louvre.
Canova a Roma
Nella città eterna Canova si appassionò al disegno e allo studio anche interpretativo delle antichità greche e romane, arrivando a contribuire in modo determinante alla cultura che chiamiamo “neoclassica”, imponendosi come massimo esponente della scultura europea.
Lo scultore veneto si recò a Roma per studiare dal vero gli “originali” antichi. Il nuovo verbo della nascente cultura neoclassica consisteva sostanzialmente in una lettura del naturale, scevra di affettazioni manieriste o barocche e, all’opposto, “corretta” dalla lezione somma degli antichi greci. Winckelmann era chiaro e perentorio: “L’unica via, per noi, per diventare grandi, e, se possibile, inimitabili, è l’imitazione degli antichi”. Canova sembrò giungere ad una vera immedesimazione con i suoi remoti maestri, da far scrivere al Milizia (teorico del Neoclassicismo, coevo dello scultore): “Canova è un antico, non so se di Atene o di Corinto”.
La prima permanenza romana durò dal 4 novembre 1779 al 28 giugno 1780.
Un dettaglio curioso può essere citato per ricostruire la complessità di formazione della cultura neoclassica: il giovane scultore, già famoso per i suoi lavori svolti in Veneto, giunse a Roma preceduto dalla nomea di “odiatore dell'antico”, in quanto determinato a non essere ritenuto un semplice “copiatore” delle antichità; la sua era una posizione di indipendenza critica, di osservatore, amatore, ma anche stroncatore di opere antiche, cinquecentesche, barocche, contemporanee.
Era stato il cavaliere Girolamo Zulian, ambasciatore veneziano presso la Santa Sede, a richiedere al Canova di fornire alla Repubblica per quattro anni nient'altro che copie dall'antico, in cambio di un appannaggio per abitare e studiare nella città papale. L'artista aveva risposto “...che non avrebbe mai acconsentito che la patria spendesse per esso lui pure un ducato, senza alcuna buona speranza di nobile vantaggio pe' suoi studj: imperciocchè ei dicea, copiare l'antico essere bensì cosa utile, non però sufficiente a comunicare quel grado di originalità all'artista, che solo si ottiene coll'inventare” - suscitando la riprovazione del Zulian, il quale diffuse a Roma la voce di un giovane artista presuntuoso.
Al di là dello studio diligente delle proporzioni, quel che preme ad un artista vero - e non un semplice imitatore dell'antico - è immedesimarsi, sprofondare nella comprensione delle intenzioni dei suoi remoti predecessori e con queste parole Canova esprimeva tale concetto: “Vi vuol altro che rubare qua e là de' pezzi antichi e raccozzarli assieme senza giudizio per darsi valore di grande artista! Conviene sudare dì e notte su' Greci esemplari, investirsi del loro stile, mandarselo in sangue, farsene uno proprio coll'aver sempre sott'occhio la bella natura, col leggervi le stesse massime” (da una lettera di Antonio Canova a Quatrèmere de Quincy, letterato francese).
Per farsi immediatamente un'idea della situazione artistica locale, “la sera medesima del suo arrivo in Roma volò all'Accademia di Francia, per vedervi disegnare il nudo e scrisse di non avervi scorto alcuno, che eminentemente nella parte del chiaroscuro superasse la veneta scuola”.
Canova, quindi, prese contatto con l'ambiente artistico, coltivando buoni rapporti con quanti suscitavano la sua stima: su tutti, il pittore, archeologo e antiquario scozzese Gavin Hamilton e il pittore Pompeo Batoni, del quale frequentò l'accademia privata. Sperimentò anche altre accademie del nudo, a Roma (Capitolina e di Francia) e a Napoli. Le annotazioni di vita quotidiana di mano dell'artista ci accompagnano giorno per giorno lungo la sua scoperta delle meraviglie antiche e moderne.
Hamilton consentì allo scultore di riacquistare fiducia agli occhi dell'ambasciatore Zulian e gli fornì preziosi consigli, “colle teorie dell'arte e col suo fine giudizio e col suo vasto sapere nello antico”. Alcune visite alla Galleria Borghese sono doverose e suscitano l'ammirazione per molti pezzi, elencati uno per uno; il primo giorno (15 novembre 1779) può entrare soltanto nel grande salone (“che sembra un paradiso”), per l'assenza del custode, ma l'11 marzo 1780 ha l'opportunità di studiare tutte le opere pittoriche e scultoree, tra cui “il Gladiatore sorprendente”; almeno altre due visite seguiranno (18 marzo e 4 giugno), prima della trasferta nel sud Italia.
Un punto di riferimento quasi ossessivo rimase, comunque, l'osservazione, l'analisi e la copia grafica delle statue dei Dioscuri al Quirinale, che possiamo ricostruire prima dalle parole di Missirini: “Non avea mai intermesso il nostro scultore benché avvolto in grandi lavori il costume del suo primo giungere in Roma, di recarsi cioè spesse volte allo spuntare del giorno sul Quirinale, continuando i suoi studj sui Colossi”. Quindi dagli stessi scritti di Canova: “...riflettendo meco stesso, mi parve che quelle Statue potessero più d'ogni altra darmi li veri precetti per bene intendere geometricamente le forme generali dell'uomo”.
Un'impressione vivida dei sentimenti provati da un giovane scultore al cospetto delle più grandi sculture della storia ci viene trasmessa dall'amico Antonio Selva, tanto che pare di trovarci ad assistere anche noi a quella scena: “Non mi si torrà mai dalla memoria la fortuna che ho avuto di accompagnare Canova al Belvedere il primo giorno che arrivò a Roma: giunto colà fu tanto rapito da quegli eccellenti originali, che sembrava quasi pazzo a chi non lo conosceva; si fermava all'Apollo, correva al Laocoonte, e così di mano in mano alle altre statue, pareva che in un momento succhiar volesse quelle bellezze che il suo fino occhio scopriva in quei varii originali”.
La rivalutazione di Canova disegnatore
La storia della rivalorizzazione della figura di Antonio Canova nel corso del XX secolo - seguente all'ultima “stroncatura” ad opera di Longhi - conosce una progressiva riscoperta dei diversi aspetti propri di una carriera vissuta ai massimi livelli professionali e sociali. Parte da una nuova analisi complessiva dell'epoca neoclassica e delle sue sculture in particolare, che vengono inserite nell'ambito di una poetica di profonda concezione - connessa ad esempio con la letteratura foscoliana dei “Sepolcri” - e da una completa immersione nella cultura a lui contemporanea, che viene compresa, condivisa e dibattuta criticamente, oltre a contribuire a crearla lui stesso: ciò emerge chiaramente da una lettura della prima biografia, scritta su sue indicazioni, o semplicemente scorrendo la sua corrispondenza, raccolta nel voluminosissimo epistolario detto “Mazza Tinti” e dal complesso dei suoi scritti (diari e altri manoscritti), compresi i dettagliati “Quaderni di viaggio 1779-80”: tutto prezioso materiale documentario conservato dalla Fondazione Canova del Museo Civico di Bassano del Grappa.
Canova era al corrente delle idee estetiche più aggiornate - di Milizia, Cicognara, Monti - e di quelle all'avanguardia - da Winckelmann a Füssli; ma conosceva anche personalmente gli architetti Selva e Fontaine, Hamilton, Piranesi, Quincy, David e – non dimentichiamolo - Napoleone. Anche se Stendhal ricorda che il nostro scultore non fosse interessato a discutere di estetica e di filosofia.
Riguardo lo studio anatomico, è dubbio che avesse fatto osservazioni dirette da cadaveri; i disegni prettamente anatomici sono essenzialmente miologici e sembrano derivati piuttosto da tavole stampate o modelli didattici.
L'importanza del disegno, propugnato da Canova nell'evidenza stessa di tutta la sua progettazione, dagli abbozzi rapidissimi per l'urgenza di seguire le prime idee ai dettagli, rimanda alla tradizione del disegno tosco-romano risalendo a Vasari e addirittura a Cellini, riguardo l'accortezza che teneva l'artista veneto nell'allenare la mano all'esercizio grafico almeno un'ora al giorno, “nella moralità di un esercizio di studio ininterrotto”.
I primi ad occuparsi criticamente dei disegni canoviani furono Muñoz e Foratti, autore di un testo del 1922. Tra il 1937 e il '39 Ragghianti catalogò i fogli del museo bassanese, che vennero anche fotografati, e nel 1951 Elena Bassi iniziò a studiarli dettagliatamente, arrivando a pubblicare nel 1959 il catalogo ragionato che funge tuttora da riferimento per tutti gli studiosi. Nell'ambito di una rivalutazione complessiva dell'artista, l'analisi dei disegni ebbe larga importanza negli scritti di Zeitler (1954) e Ragghianti (1957). Negli anni '80 e '90 è Mellini a interessarsi in particolar modo dei disegni canoviani.
Nel mentre, Elena Bassi organizzò alla Strozzina di Palazzo Strozzi a Firenze la prima esposizione dedicata solamente ai disegni canoviani e la Fondazione Cini di Venezia replicò analogamente, con una esposizione del 1956 trasferita poi alla Farnesina di Roma e al Castello Sforzesco di Milano; a questa ne seguì una nel Museo di Bassano l'anno successivo.
Nel 1982-'83 una mostra itinerante divulgò la conoscenza del Canova grafico a Roma, Milano, Bassano e Parigi, ma ormai dalla metà del Novecento la quasi totalità delle mostre dedicate all'artista prevedono una sezione dedicata ai disegni, a partire da quelle del 1957 a Treviso e del 1969 a Copenaghen.
Descrizione del disegno
Da insegnante di disegno posso notare che questo studio grafico del "Gladiatore" non presenta tracce di linee di costruzione; si può comunque ritenere che l’artista abbia voluto restituire il più fedelmente possibile quanto stesse osservando. Canova si posizionò in un punto di vista abbastanza alto per poter osservare la scultura da una veduta laterale e ritrovarsi alla stessa altezza della testa, così da non avere le deformazioni causate da una vista dal basso o dall'alto; inquadrò nel foglio l’intera figura in larghezza, mettendo in evidenza il contorno ed evitando gli scorci in profondità che da altre posizioni sono molto accentuati.
La tecnica utilizzata è evidentemente una semplice matita di grafite per l'impostazione dell'insieme e la precisione dei contorni, seguita dal carboncino per la resa plastica delle ombre e dei volumi, con rialzo finale dei chiari a biacca (tempera stesa a pennello), il tutto su carta semiruvida color seppia chiaro.
Il foglio è di media grandezza: 44,7 centimetri di altezza per 53,5 di larghezza.
Sono evidenti due pentimenti nella parte sinistra: il braccio destro e la gamba sinistra era stati inizialmente disegnati troppo in basso; questi segni sono stati cancellati, come pure il bordo inferiore del braccio sinistro, dapprima lievemente in basso.
Barioli notava nei disegni di studio di Canova un duro impegno per migliorare continuamente se stesso: “...come non disdegnasse farsi scolaro di se stesso ripetendo il pensum grafico, provando e riprovando, annullando le soluzioni già ottenute, rivedendo, ripensando, studiando fino alla saturazione”.
Confrontando le riproduzioni fotografiche moderne con il disegno in questione è possibile apprezzare il modo puntuale con il quale l’artista si è avvicinato alla forma dell’originale, grazie ad un controllo metodico dell’insieme e del rapporto tra le parti. Considerando la caratteristica quasi “fotografica” delle stampe che faceva trarre dalle sue sculture, che lui stesso commissionò ad abili incisori, si può presumere che l’intento del Canova era rivolto ad una definizione “realistica”, quando si trattava di eseguire copie da modelli scultorei, perlomeno a questa data.
Non è evidente una stilizzazione classicista, alla Flaxman (uno scultore inglese noto per i suoi disegni dalla stilizzazione neoclassica estrema), che sarà invece spiccatissima nei noti dipinti monocromi; le masse dettagliate dei muscoli restituiscono, al contrario, una sensazione di tangibile naturalismo, come se avesse avuto di fronte a sé un modello vivente. È appunto la vera carne che egli cercava di scoprire nella statuaria antica e che trovò al massimo grado nei marmi fidiaci ammirati a Londra: “vera carne, cioè la bella natura”; in quella occasione rammentò altri capolavori antichi, aggiungendo, appunto... “come il gladiatore combattente”.
La differenza rispetto ai disegni da vero e proprio modello consistono piuttosto - in alcuni casi - in una resa molto più rapida di questi ultimi, con rapidi e sottili tratti a penna, come è evidente nelle pose che fece assumere da un suo aiutante e nell'esempio dai Dioscuri citato in precedenza.
Esiste, comunque, un gruppo di suoi disegni considerati “accademie”, da modello vivente, che sono del tutto comparabili col disegno del “Gladiatore”, in quanto a formato, tipo di carta, tecnica e resa stilistica. Ragghianti nota un diverso atteggiamento nei disegni successivi che Canova trasse da antichità ammirate in dimore tedesche, nei quali riscontra un esagerato adeguamento allo stile delle opere copiate.
Nel disegno in questione, insisto, emerge lo studio autentico di un giovane di 23 anni alla scoperta, onesta, del mondo dell'arte, quando ancora si mette da parte la volontà di far emergere un proprio stile. Ogni dettaglio è reso in modo assai preciso ma, ad un tempo, appare anche una spiccata attenzione ai dati chiaroscurali delle masse.
Il contorno, padroneggiato con abilità e severità formale, è realizzato con un segno chiarissimo e non continuo, evitando una linearità rigida e uniforme, frutto di una matita dura tenuta con leggerezza; l’artista ha proceduto adattando man mano la posizione e la direzione del disegno, con un’analisi assoluta dei riferimenti spaziali bidimensionali. Dei tratti più insistiti ripassano e incidono alcune linee per assecondare la rotondità dei muscoli.
Di seguito, l’artista ha campito con un tratteggio sfumato i toni medi delle parti interne della scultura, avvalendosi di una matita morbida tenuta di piatto.
I tratteggi sono paralleli e diagonali, dall’alto a destra al basso a sinistra, ravvicinati e fusi tra loro, ammorbidendo le forme convesse, modificando di poco l’inclinazione dei segni, a seconda dell’andamento delle membra; un secondo passaggio - con la stessa procedura - ha scurito le parti maggiormente in ombra, in parte incrociando i segni nel verso opposto, specie nella gamba sinistra, ma senza insistere nel premere la matita: quel che appare come una resa grafica del tutto corretta.
Le zone chiare sono in maggioranza lasciate al colore del foglio, pesante, ruvido, dai bordi non tagliati ma strappati e di un colore di produzione (non preparato) tendente alla terra gialla, che investe l’intera opera - come fosse una velatura stesa sul disegno - e rendendola luminosa.
I punti di massima oscurità, individuati con attenzione e in numero limitato per rendere la maggiore profondità e colpire come stilettate l’occhio dell’osservatore, sono di un nero profondo, ottenuti col carbone.
Le luci più alte, al contrario, sono state stese a pennello, utilizzando una biacca leggermente inumidita: con qualche tratteggio sfumato a pennello - imitando l’effetto del gessetto - o con piccoli e precisi punti di bianco nei condili delle falangi della mano protesa in avanti.
Nel complesso, il disegno è frutto di una impostazione accademica assai diligente; appare un calcolato equilibrio tra il contorno, geometricamente preciso - pur se leggero e sciolto - e la sensibilità per i valori fenomenici che muovono le masse plastiche, che colpiscono con improvvise luci e ombre, emozionando il nostro occhio e mantenendolo in movimento lungo tutte le superfici della figura. La trattazione delle volumetrie è assai ben calibrata, seguendo le tecniche tradizionali: i chiari e gli scuri sono attentamente alternati per evidenziare le masse muscolari e, nella zona inferiore del disegno, sono stati lievemente accentuati i chiari del fondo in corrispondenza con i volumi scuri e viceversa; i limiti delle ombre, inoltre, sono sensibilmente schiariti per accentuare le rotondità che ci illudono di continuare le curvature nel retro della figura.
La tensione dei muscoli di questa scultura virile, pertanto, risulta espressa in tutta la sua forza in un disegno nel quale la rigidità tipica del tardo ellenismo è tuttavia mitigata dalla trattazione viva della luce.
In definitiva, si possono così riassumere gli aspetti che l'artista cercava in questo studio grafico da un modello antico: la resa anatomica naturalistica, le proporzioni delle parti nell'equilibrio complessivo, la trasmissione di una fortissima sensazione di energia vitale che si irradia nello spazio, la tipologia di una posa tanto sfruttata in antico. A livello più concettuale, tentava di carpire le caratteristiche che erano proprie di quell'antichità che non era ancora stata individuata nelle sue evoluzioni storiche e nelle componenti stilistiche, nelle differenze tra epoche, autori, caratteri regionali e distinzioni tra originali greci e copie romane. Quello che mette in opera un artista per capire tutto questo non è il “copiare” passivamente una tipologia iconografica, ma consiste nell'immergersi nelle idee di un artefice lontano nel tempo, ripercorrendo il lavoro da lui svolto per creare un'opera, entrando quindi nel suo operare e nella sua mente; sentendo “a pelle” i motivi che condussero a quelle particolari scelte stilistiche.
Nonostante l’abitudine da parte di Canova di annotare la data di esecuzione dei suoi disegni, il foglio non riporta alcuna scritta, a parte il timbro del museo nel quale è tuttora custodito; in alto a destra è presente una macchia di grafite, mentre in filigrana è visibile la marca della carta, “LEPORE”.
Storia del disegno
Attualmente questo disegno è mantenuto a valori di umidità tra il 45% e il 50% e disponibile per prestiti espositivi per un massimo di 3 mesi a 12 lux. I lavori su carta di Canova presenti nel museo sono raccolti in dieci album di grande formato e otto taccuini tascabili.
Il foglio, staccato, appartiene a una raccolta di album di disegni selezionati per tema dallo stesso Canova e affidati in lascito al Museo di Bassano nel 1849 dal fratellastro dell’artista, monsignor Gian Battista Sartori Canova, che li aveva ricevuti in eredità. In totale, il Museo possiede 1767 fogli contenenti circa 2000 disegni, oltre a 598 lettere autografe, 4081 a lui indirizzate e altre 12.000 lettere; vari scritti autografi, documenti personali, un “Libriccino” di scritti contabili e l'intera sua biblioteca; infine, incisioni tratte dalle sue opere e i famosi dipinti a monocromo. Mentre tutte le opere in gesso vennero trasportate dallo studio romano alla casa natale di Possagno (un'impresa titanica, con carri di legno su strade sterrate), il restante materiale fu destinato a Bassano, forse in quanto già dotato di una istituzione in grado di custodire materiale cartaceo.
Nell'album A sono presenti nudi femminili riferibili circa al 1810. In B troviamo 44 studi dall'antichità, tra cui i famosi Dioscuri del Quirinale. C1 e C2 contengono studi di panneggi su modelli maschili e femminili in foglietti incollati quattro alla volta su fogli maggiori, databili tra il 1793 e il 1800. D1 raccoglie nudi maschili a penna eseguiti tra il 1794 e il 1799.
L'album “E” contiene trentasei fogli con quarantatre disegni, tra cui il “Gladiatore”, denominati “Accademie/Ombreggiate” in una scritta in oro impressa sul dorso; le datazioni vanno dal primo soggiorno a Roma - 1780 - al primo periodo napoleonico - 1819.
Una annotazione nella copertina dell’album indicato come “codice E” reca la firma di Sartori, il luogo - Crespano (del Grappa) - e la data di lascito al museo, 1851.
Gli album Eb e Ec contengono schizzi e, insieme all'E, contengono i disegni più studiati dagli esperti. I restanti otto taccuini intitolati F sono di formato ridotto, con soggetti disparati.
Giuliana Ericani, della Fondazione Canova, condivide l'opinione unanime nel riferire il disegno del “Gladiatore” al primo anno a Roma (1779-1780).
La lettura dal vivo e ravvicinata del disegno originale mi è stata possibile grazie alla cortesia del dott. Dalle Nogare, responsabile del Gabinetto disegni e stampe del Museo Civico di Bassano del Grappa.
Giuseppe Pavanello, intervenendo su questo disegno, punta l'attenzione su di un testo di anatomia per artisti che era in possesso di Antonio Canova e ora passato, con la donazione della sua biblioteca, al Museo di Bassano del Grappa.
Si tratta di un testo stampato in Roma nell'anno 1691. Seguendo la linea adottata dagli artisti a quell'epoca, l'autore Bernardino Genga intese illustrare l'anatomia superficiale sia mostrando tavole anatomiche vere e proprie, che tramite esempi tratti da sculture antiche. Tutte le stampe sono calcografiche (acqueforti) e i testi sono limitati all'indice delle tavole.
Questo testo non è stato mai ristampato e altri esemplari originali sono conservati presso l'Università di Padova e nel Monastero di Montecassino.
Il volume che apparteneva a Canova è corredato da fitte annotazioni scritte a mano in francese, nella pagina dell'indice, volte a chiarire dettagli anatomici; una postilla segnala che si tratta di note aggiunte da un artista inglese (forse lo scozzese Gavin Hamilton).
Sei tavole sono dedicate al Gladiatore Borghese, raffigurato da differenti punti di vista in modo dettagliato e con uno stile assai rigido, evidentemente allo scopo di mettere in particolare luce le tensioni della muscolatura.
Pavanello ritiene che due di queste tavole siano state utilizzate da Canova per realizzare il disegno a penna che mostrerebbe un assistente nella posa del “Gladiatore”; la scritta apposta dallo scultore attesterebbe la derivazione del disegno non dalla scultura, ne' da un modello vivo, ma direttamente da due pagine del volume.
Le due tavole più vicine al disegno a penna - riportate qui sotto - sono però assai differenti: i punti di vista sono scostati in modo sostanziale - una vista posteriore di ¾ e una dal basso - ma, soprattutto, sono specchiati orizzontalmente, dato che l'illustratore realizzò i disegni sulla lastra metallica incerata nel verso corrispondente a quanto osservato, mentre le stampe al torchio mostrano le immagini ribaltate:
È sufficiente ribaltare le immagini al computer e confrontarle con la scultura per verificare facilmente come il braccio avanzato rispetto al corpo sia quello sinistro e non quello destro mostrato dalle tavole stampate: le incisioni “riflesse” (portate cioè alla condizione nella quali vennero disegnate dall'incisore prima della stampa) vengono così a coincidere con la statua originale:
Risulta difficile pensare che Canova avesse realizzato degli schizzi preliminari al disegno a penna (che è già un disegno veloce, schizzato) in modo tale da modificare il punto di vista di due differenti versioni (con mutamenti notevoli nella forma dei muscoli), provvedendo anche a ribaltarlo.
Neppure il disegno a matita può derivare da quelle stampe: anche se rivolto nella stessa direzione, illustra con tutta evidenza - come quello a penna - il verso corretto con cui lo scultore stava osservando la statua antica, col braccio sinistro proteso, in un punto di vista ancora differente da quelli stampati.
Come Canova utilizzò lo studio del "Gladiatore"
Del "Gladiatore" Canova disegnò altre varianti, ma non più dal vero, piuttosto da modelli viventi, come prova la più famosa versione che mostra un suo assistente atteggiato nella stessa posa e una scritta che chiarisce:
“Questo è Giacomo De Rossi, e non il Gladiatore fatto il dì 30 9bre 1794”.
Diversi studiosi hanno fatto caso a questa particolarità, interpretando il modello come un allievo. Tra tutti si distingue Giuseppe Pavanello, il quale ritiene di attribuire il nome De Rossi ad uno stampatore. In effetti, un allievo noto del Canova è lo scultore bolognese Giacomo de Maria, mentre “Giacomo De Rossi” era il nome della più nota tipografia romana che, tra l'altro, aveva dato alle stampe un volume di studi anatomici in possesso di Canova; lo scultore poteva aver fatto amicizia con il tipografo, il quale magari si prestava a fargli da modello...
Soltanto una scultura canoviana presenta una posa molto simile a quella del “Gladiatore”, ovvero un bassorilievo in gesso che rappresenta Socrate mentre difende Alcibiade nella battaglia di Potidea; del quale a Bassano del Grappa è conservato anche un sommario schizzo preparatorio.
Immagini 12 e 13: Bassorilievo e schizzo di Canova con Socrate e Alcibiade
Altri suoi capolavori, in ogni caso, sembrano derivare la struttura del busto e delle membra da quelle della scultura ellenistica: i Due Pugilatori, e in particolare il Creugante, ma anche il Perseo trionfante, Teseo in lotta con il Centauro... sembrano tutti muovere le stesse tensioni muscolari del Gladiatore, adeguandosi ai vari contesti.
Terminiamo con una incisione del pittore ottocentesco Giuseppe Sabatelli intitolata “La gloria di Canova”, dove è testimoniata l'importanza che lo scultore e i suoi contemporanei attribuivano al "Gladiatore"; questa stampa mostra infatti Canova circondato da opere celeberrime, delle quali alcune create da lui e altre appartenenti all'antichità: a sinistra dell'Artemide Efesia si scorge il Gladiatore Borghese. Si tratta di una immagine commissionata appositamente da Missirini, biografo di Canova, per ricordare l'amico scomparso.
Consigli di lettura
Sul disegno del “Gladiatore Borghese”
Bassi Elena: Il Museo Civico di Bassano. I disegni di Antonio Canova, Neri Pozza, Venezia, 1959.
Disegni di Canova del Museo di Bassano, Electa, Milano, 1982 (con saggi di G.C.Argan, F.Barbieri, F.Rigon).
Dessins de Canova du Musée de Bassano, Paris, Mairie du IVe arrondissement, 20 mai-10 juillet 1983.
Mariuz Adriano, Pavanello Giuseppe: Antonio Canova. I disegni del taccuino di Possagno, Bertoncello, Padova, 1999.
Canova, a cura di S.Androsov, M.Guderzo e G.Pavanello, Skira, Ginevra-Milano, 2003.
Canova e la Venere Vincitrice, a cura di A.Coliva e F.Mazzocca, Electa, Milano, 2007.
Altri testi dedicati o con riferimenti all’opera grafica di Canova
Foratti Aldo: Canova disegnatore, Bestetti & Tumminelli, Milano-Roma, 1922 (estratto da: Bollettino d'arte del Ministero della Pubblica Istruzione, ottobre 1922).
Disegni anatomici di Antonio Canova, a cura di Massimo Pantaleoni, Istituto superiore di sanità - Fondazione Emanuele Paternò, Roma, 1949.
Antonio Canova: monocromi e disegni, a cura di E.Bassi, La Strozzina-Palazzo Strozzi- Industria tipografica fiorentina, Firenze, 1951.
Disegni del Museo Civico di Bassano, a cura di L.Magagnato, Neri Pozza, Venezia, 1956.
Mostra Canoviana, a cura di L.Coletti, Longo & Zoppelli, Treviso, 1957.
Mostra dei disegni di Antonio Canova nel secondo centenario della nascita, a cura di G.Barioli, Vicenzi, Bassano del Grappa (VI), 1957.
Ragghianti Carlo Ludovico: Studi sul Canova, in “Critica d 'Arte” N.22, Vallecchi, Firenze, luglio-agosto 1957.
Antonio Canova: tegninger fra museet i Bassano, presentazione di B.Passamani, Udstilling i Thorvaldsens Museum, Kobenhavn, 1969.
Mellini Gian Lorenzo: Antonio Canova. Disegni scelti e annotati, La Nuova Italia, Firenze, 1984.
Antonio Canova, a cura di G.Pavanello e G.Romanelli, Marsilio, Venezia, 1992.
Guderzo Mario: La collezione di Antonio Canova al Museo Civico di Bassano, in Canova e Appiani alle origini della contemporaneità, a cura di R.Barilli, Mazzotta, Milano, 1999.
Mellini Gian Lorenzo: Canova. Saggi di filologia e di ermeneutica, Skira, Ginevra-Milano, 1999.
Antonio Canova: disegni e dipinti del Museo Civico di Bassano del Grappa e della Gipsoteca di Possagno presentati all’Ermitage, a cura di G.Pavanello, Skira, Ginevra-Milano, 2001.
Sulla vita e le opere del Canova
Missirini Melchior: Della vita di Antonio Canova. Libri quattro (1824), a cura di F.Leone, Biblos, Cittadella, 2004.
Argan Giulio Carlo: Antonio Canova, a cura di E.Debenedetti, Mario Bulzoni, Roma, 1969.
Bassi Elena: Antonio Canova a Possagno. Catalogo delle opere, guida alla visita della gipsoteca, casa e tempio, Canova, Treviso, 1972.
Assunto Rosario: L’antichità come futuro (1969-’72), Medusa, Milano, 2001.
L’opera completa del Canova, Rizzoli, Milano, 1976.
Stefani Ottorino: La poetica e l’arte del Canova, Canova, Treviso, 1984.
Sculture, calchi e modelli di Antonio Canova nella gipsoteca di Possagno, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali - Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici del Veneto, Treviso, 1992.
Canova e l'incisione, a cura di G.Pezzini Bernini e F.Fiorani, Ghedina e Tassotti, Bassano del Grappa (VI), 1993.
Edizione nazionale delle opere di Antonio Canova. Scritti. I, a cura di H.Honour, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato - Libreria dello Stato, Roma, 1993.
AA.VV.: Antonio Canova. Arte e memoria a Possagno, Vianello, Treviso, 2004.
Il primato della scultura: fortuna dell’antico, fortuna di Canova, coordinamento di F.Mazzocca e G.Pavanello, Prohemio, Firenze, 2004.
Antonio Canova. La cultura figurativa e letteraria dei grandi centri italiani. 1. Venezia e Roma, a cura di F.Mazzocca e G.Venturi, Prohemio, Firenze, 2005.
Pavanello Giuseppe: Antonio Canova, Scala, Firenze, 2005.
Canova alla corte degli Zar, a cura di S.Androsov e F.Mazzocca, Motta, Milano, 2008.
Mazzocca Fernando: Canova e il neoclassicismo, Scala, Firenze, 2008.
Canova. L’ideale classico tra scultura e pittura, a cura diS.Androsov, F.MazzoccaeA.Paolucci, Silvana, Milano, 20
Comments