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Fёdor Dostoevskij e le Memorie dal sottosuolo

Recensione


A cura di Daniela Pittaluga

Quanto può colpire un libro? Quanta forza deve avere per riuscire a fare breccia nel cuore del lettore? Leggendo “Memorie del sottosuolo” ho avuto la risposta a queste domande. La storia di una sofferenza esistenziale folgorante e, al tempo stesso, profonda, per la quale non c’è rimedio. Un monologo trasformato in un assurdo dialogo con interlocutori muti e sordi. Perché la sofferenza non può essere ascoltata. Eppure la sofferenza si racconta, perché nemmeno può essere taciuta.

In questo bellissimo racconto di sé e di una volontà irriducibile ai principi del vivere sociale, ho ritrovato frammenti genuini della mia vita. Istanti di verità subito soffocati dal “quieto vivere” che, malgrado tutto, ho lasciato entrare dalla mia porta.

Mi sono rivista in alcuni momenti di meschina codardia e dell’altrettanto vile ritardo con cui di certe parole o gesti mi sono vergognata.

Ma soprattutto, e prima di queste briciole di eventi e di attimi, mi sono riconosciuta in quella crepa di fragilità che abita il sottosuolo della mia vita.

Trama del libro

«Questo romanzo breve potrebbe essere considerato la descrizione di un caso clinico con evidenti e variegati sintomi di persecuzione. Il mio interesse è limitato allo studio dello stile. I temi di Dostoevskij, i suoi stereotipi e le sue intonazioni sono presentati nel modo più vivido. È la quintessenza della dostoevsticità. La prima parte è composta da 11 piccoli capitoli, o sezioni. La seconda parte è lunga il doppio della prima ed è composta da 10 capitoli più lunghi con diversi incidenti e dialoghi. La prima parte è un monologo, ma un monologo che coinvolge ascoltatori immaginari. In tutta questa parte, l'uomo del sottosuolo, il narratore, si rivolge al pubblico, apparentemente filosofi alla buona, lettori di giornali e, come li chiama lui, "persone normali"» (Vladimir Nabokov).

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