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Il pittore maledetto di Luigi De Pascalis Newton Compton Editori

Recensione


A cura di Antonella Giuffrida

“Non è l’amore che guasta la vita. E’ la vita che rovina se stessa, in un modo o nell’altro. O forse è che ce ne vorrebbero mille, di vite, per provare tutti i sentimenti di cui un cuore è capace, per fare tutti gli errori possibili e per rimedire a ciascuno di essi in tutte le maniere in cui lo si può fare.”

Quante volte diciamo a noi stessi che vorremmo mille vite per soddisfare tutti i nostri desideri! E così, allo stesso modo, ci vorrebbero molte pagine per annotare tutti i sentimenti e le riflessioni che questo libro offre. Un libro sulla vita, sul rapporto genitori figli, sul rapporto di coppia, sulla comunicazione non verbale, un libro sull’arte. Insomma, un libro completo.

Siamo a Madrid nel 1819. Le vicende della vita di Francisco Goya sono innumerevoli e piene di così tante sfaccettature degne di essere raccontate, che solo la lettura del libro può soddisfarci pienamente. Intanto ci domandiamo: perché il titolo “Il Pittore maledetto”? Forse per il carattere di Goya o per qualcos’altro?


F. Goya è ricordato per le sue “Pitture nere” che non sono altro che una conseguenza del suo stato d’animo , del disinganno e dell’illusione, dovuti alle vicende storiche e personali che hanno accompagnato tutta la sua vita: l’amore nei confronti della bella novizia romana e verso la duchessa d’Alba, il suo matrimonio andato a monte. Goya è indignato e disilluso anche dalla politica spagnola , dalla guerra d’indipendenza e dal conseguente ritorno al trono di Ferdinando VII che ripristina la Santa Inquisizione. In questo momento di sommossa, il pittore rifiuta il feroce assolutismo del re e questi temi faranno da sfondo a tante sue opere. E Goya, dopo un periodo passato a dipingere ed incidere per il re, rifiuta questo modus vivendi e continua a dipingere per se stesso e per gli amici. Il romanzo che scrive Luigi De Pascalis, frutto di studio, di ricerca e soltanto con qualche personaggio inventato, delinea la parte più oscura ma anche più produttiva del pittore, il cosiddetto periodo delle “Pitture nere”, dipinti che ci immergono nell’anima artistica e umana di Goya .

Lo stile di Luigi De Pascalis è narrativo e scorrevole, inframezzato da descrizioni e dialoghi; la sua storia non offre mai nulla di scontato e anche quando pensiamo che il racconto abbia un fluire tranquillo, ecco, anche nelle ultime pagine, la suspence di nuovo ci avvince, stravolgendo magari il nostro immaginario epilogo. Questa è una delle abilità di De Pascalis: lasciare il lettore sempre in allerta. Un’altra particolarità del romanzo è che il libro alterna due parti , trasportandoci in due mondi cronologicamente distanti ma in simbiosi fra loro: la prima, fra il 1819 e il 1828, quando F. Goya abita a Madrid vicino al ponte di Segovia, sopra il Manzanarre. La seconda parte, nel 1856 quando, ormai Francisco è morto da 28 anni e Leocadia ha un dialogo con il figlio Guillermo al quale racconta l’amore per il pittore, amore che non ebbe ami la fortuna di rendere pubblico, perché ella ufficialmente era considerata la sua governante.


La mia mente immagina La Quinta Del Sordo, la casa alla periferia di Madrid, che Goya aveva scelto per isolarsi dal mondo circostante, già in preda alla malattia che lo tormenterà per tutta la vita, la sordità. A questo deficit uditivo si sommerà anche l’avvelenamento da piombo dovuto al miscuglio dei colori accentuati anche dal fatto che Goya amava inumidire i suoi pennelli con la bocca. E’ naturale che le due infermità rendono il pittore nervoso, irascibile e introverso. E cosi, l’unico modo per estraniarsi dal mondo è dipingere le pareti della “Quinta”: l’intonaco, rifatto da poco, è liscio e bianchissimo e si presta ad essere dipinto.

“ I vecchi dormono poco”, si disse. “E, se dormono, fanno sogni irrequieti. I vecchi sono impregnati di rancore e di cattiva memoria, perciò non hanno tempo per effetti di luce e atmosfere intriganti. I vecchi, che la vita ha bastonato sul cuore, hanno imparato a proprie spese che i volti sono maschere dietro cui si celano mostri; e sanno di dover cercare solo il nodo delle cose. I vecchi temono la morte e ciascuno di loro combatte a suo modo”.

Questa frase profonda e commovente, che ricorda anche una celebre canzone altrettanto commovente sui Vecchi di un cantautore degli anni ‘70, denota tutta l’umanità ma anche l’irrequietezza e la disperazione di quest’uomo, ormai vecchio! Allora…che fare? Che modo ha un pittore sordo per esprimersi? Dipingere. E allora immagino di addentrarmi in questa casa, magari di notte, e vedere Francisco Goya , in modo goffo, aggirarsi nel corridoio buio con il suo cilindro in testa circondato da una corona di candele , per illuminare le pareti che dovrà dipingere. Ed è qui che lo vede Rosarito, la figlia di Leocadia, che ancora non sa che quell’uomo strano che ama dipingere le pareti di casa con colori scuri, sia suo padre. Eppure entrambi hanno qualcosa in comune: l’amore verso la pittura; anche lei diventerà un vero talento. Ed è meraviglioso come De Pascalis abbia descritto questo rapporto padre figlia: quanti episodi pieni di sentimento, profondità d’animo, esternati dai due personaggi solo con le immagini. I due sono inseparabili e i loro dialoghi avvengono tramite interpretazione del movimento labiale da parte del padre e, quando la sordità aumenta , solo tramite i taccuini . Gli episodi da annoverare sono immagini scolpite nella mia mente e nel cuore e sono innumerevoli ma io lascio che sia il lettore a leggerli, rischierei di fare spoiler; bisogna soltanto leggerli e commuoversi per la loro tenerezza, leggerezza , intimità e dolcezza. Ed il rapporto fra Francisco e Rosarito è descritto da De Pascalis in modo minuzioso, penetrante, umano. Rapporto che fa riflettere proprio sul rapporto fra padri e figli: non c’è niente che può ostacolare un rapporto di sangue e di amore! Si trova sempre un mezzo per scambiarsi sentimenti. E come Beethoven , anche esso sordo, scambia le sue riflessioni, i dolori e le amarezze interiori con gli amici intimi, attraverso gli altrettanto famosi taccuini di conversazione, così il rapporto fra i due protagonisti del nostro romanzo, rimarrà in eterno , conservato nei taccuini che racchiudono conversazioni e disegni. Goya esprime il suo dissenso sociale e politico, le miserie della guerra, lo sfruttamento delle donne ed il maltrattamento degli ultimi. Entrambi gli artisti superano le difficoltà della vita attraverso l’arte. E allora possiamo sicuramente affermare che qualsiasi forma d’arte , non bisogna considerarla fine a se stessa ma , oltre ad essere un linguaggio universale, salva la vita. E Goya dipinge ed ha il suo modo di vivere:” colori invece di suoni, segni invece di parole, i capricci della mente invece di luci e ombre”.

Ecco allora che nascono le “Pitture nere” con scene di stregoneria, esorcismi, volti deformati: il Colosso, Saturno e tanti altri quadri che lo scrittore descrive con dovizia di particolari e notevole competenza artistica; ogni quadro ha una motivazione che scaturisce dal proprio stato d’animo che trasforma i sentimenti in linee e colori. Ecco perché, a parer mio, Francisco Goya non è un “Pittore maledetto” ma un pittore che credeva e sperava in un mondo migliore ed invece si è sentito solo illuso da esso!

Tutti i personaggi descritti dallo scrittore meriterebbero un approfondimento perché ognuno di loro lascia un segno nel nostro cuore e nella nostra mente. Che dire di Leocadia? Una donna molto giovane, bella, altera e capricciosa; la tenacia le fa superare la relazione scandalosa e tormentata con Francisco ma lo scrittore attraverso la sua abile penna riesce a far emergere questo amore che , anche se non suggellato dall’ufficialità, è tenero, appassionato e profondo fino alla fine dei suoi giorni.

Quando non aveva nulla da fare, leggeva e rileggeva Cervantes, a volte ad alta voce, assaporando le parole ad una ad una e intanto, malinconia nella malinconia, guardava il suo uomo che invecchiava e diventava sempre più incerto e malfermo. E invecchiava anche lei, più rapidamente di quanto avrebbe dovuto, come se avesse voluto raggiungerlo, mettersi a pari con lui.”

Alla morte di Francisco, Leocadia lascia andare la sua anima ma la sua mente è ancora giovane e rimarrà tale fino agli ultimi giorni della sua vita. E proprio dopo la morte del pittore, Leocadia racconta la storia e l’eterno amore per il pittore al figlio Guillermo, avuto dal primo marito. Guillermo appare quasi un confessore della madre e malvolentieri ascolta questi interminabili discorsi, narrati in modo molto profondo dall’autore. Così come tutti i personaggi del romanzo subiscono una evoluzione , quasi una catarsi interiore, anche Guillermo, alla morte della madre , rimasto solo, prenderà le redini di ciò che resta e la sua azione sarà illuminante per se stesso e per il lettore. Questo libro merita tante riflessioni e approfondimenti, anche su tanti altri personaggi non nominati nella recensione ma non meno importanti: tutti lasciano un’emozione e un sentimento di tenerezza. Penso ai tre personaggi principali, Francisco Goya, Leocadia e Rosarito: ufficialmente abitanti nella stessa casa, non legati da alcun vincolo, ma ognuno con una propria anima ,con una profondità di pensiero, con tanti pregi e difetti. Alla fine, ciascuno nel proprio intimo, è vissuto per l’altro. E Francisco Goya, a tal proposito, attraverso le pagine di De Pascalis lascia un ulteriore spunto di riflessione:

“L’orgoglio di artista mi ha lasciato. Essere stato un pittore del re, di quel re, poi! – non aggiunge un briciolo di senso alla mia esistenza. Il motivo vero di essa è stato più piccolo e più grande della migliore delle mie pitture. Sono state Leocadia e Rosarito. Proteggerle, aiutarle a vivere, aiutarle a essere forti abbastanza da poter fare il resto della strada senza di me: questo solo conta, se ci sono riuscito. E i miei dipinti? E il fuoco che mi ha bruciato dentro per tutta la vita?... E tutta l’orgogliosa solitudine che ne ho avuto in cambio? Orpelli inutili e inconsistenti come sogni!”

Luigi De Pascalis ci rappresenta un quadro, un bozzetto di vita di un pittore che se pur famoso ha sofferto molto fisicamente e moralmente e tutto ciò che ha vissuto l’ha impresso nelle sue tele, nelle sue pitture nere e non solo. Ma la vita non si sa quando finisce…..

L’esistenza somiglia a un romanzo: tu muori ed è come se, arrivato ad un certo punto di quel libro, scoprissi che qualcuno ne ha strappato le ultime pagine e tu, che sei lettore ma anche personaggio, non saprai mai come andrà a finire la storia su cui ti sei arrovellato dalla prima pagina.”

Il romanzo della sua vita finisce qui ma resta immortalato in tutto ciò che ha realizzato, cosi come tutti i sommi artisti. Chi ha lasciato delle opere non muore mai ma vive in eterno.

Buona lettura!!!

TRAMA

1819. Il pittore spagnolo Francisco Goya si è trasferito da poco alla Quinta del sordo, una casa di campagna alla periferia di Madrid, assieme alla giovane amante Leocadia Weiss, e ai figli di lei Guillermo e Rosarito. L’artista, sordo da anni e chiuso in un mondo sempre più cupo, è intossicato dal piombo contenuto nei colori. La malattia comporta incubi, allucinazioni, sbalzi di umore sempre più violenti. Per trovare sollievo al male, inizia a dipingere di notte sulle pareti di casa le sue celebri pitture nere. Una sera Rosarito, che ha sei anni e non sa di essere sua figlia, lo scopre mentre si dedica alle sue ossessioni indossando uno strano cappello con una corona di candele accese. Comincia così tra incubi, violenze domestiche, gesti d’amore e colpi di genio, lo strano rapporto tra l’anziano e famosissimo pittore di corte e la bambina che ha uno straordinario talento per il disegno. L’arte sarà la loro lingua segreta e il loro rifugio. Ma niente, alla fine, sarà come Goya, Rosarito, Leocadia e Guillermo avrebbero voluto.

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