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Intervista al Critico d’Arte e Storico dell’Arte Prof. Gerardo Pecci



A cura di Manuela Moschin

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Buongiorno cari amici, oggi ho il piacere di ospitare nel Blog LibrArte il professor Gerardo Pecci, storico e critico d’arte che insegna storia dell’arte presso l’Istituto di Istruzione Superiore Statale “Perito- Levi” di Eboli, oltre a esercitare la professione di Giornalista pubblicista e di Ispettore Onorario del MiBAC per la Tutela e la Conservazione del Patrimonio Storico-Artistico della provincia di Salerno. 

Vi consiglio vivamente di leggere l'intervista poiché contiene meravigliosi spunti di riflessione e svariati consigli di letture.

Per chi desiderasse segnarsi il titolo di qualche buon libro troverà interessanti suggerimenti.

Vi assicuro che rimarrete affascinati dalle parole del professore, che ebbi la fortuna di conoscere personalmente. E' una persona alquanto competente e splendida che, attraverso la sua grande passione per l'arte,  suscitò in me grandi emozioni. Pensate che visitai con lui le Gallerie dell'Accademia  e la Scuola Grande di San Rocco a Venezia. Vi posso dire che, da quel momento,  ogni volta che mi reco in quei splendidi luoghi ricordo la sua maestria nel descrivere e commentare i capolavori veneziani.

Grazie Gerardo. 

Ora iniziamo l'intervista: 

Benvenuto Gerardo, sono lieta di poterti intervistare, ti ringrazio per aver accettato la mia richiesta, è davvero un piacere e un onore poter dialogare con te. Sei una persona dotata di una grande esperienza e passione nel campo storico/artistico, sono proprio curiosa di conoscerti più approfonditamente. 

- Come Storico dell’Arte e Critico d’Arte sei dotato di un significativo percorso professionale. Ci sono particolari eventi che hanno inciso nella tua carriera? 

Grazie per avermi offerto la possibilità di dialogare con te e con tutti coloro che avranno la pazienza di leggere quanto esporrò. Il mio percorso professionale viene da lontano, dal liceo artistico di Eboli, dove sono stato prima studente e ora docente. Sicuramente il punto di partenza della mia scelta professionale risale proprio alla mia esperienza di studente. Devo ringraziare il professore Giancarlo Canonico, mio professore liceale di storia dell’arte, se mi sono appassionato a questa splendida e importante disciplina e alla ricerca storico-artistica. Tanti anni fa… Ricordo l’emozione di studiare la storia dell’arte sul vecchio manuale, con la copertina verde, di Giulio Carlo Argan. Da allora la scintilla della storia dell’arte non mi ha mai lasciato e anche ora si accende come una fiaccola che illumina il mio cammino nelle stanze della storia, spesso intrufolandomi nella vita e negli affari degli artisti del passato. Sono “amici” che mi accompagnano quotidianamente, alla ricerca dei saperi, delle opere d’arte, del colore e delle forme. Sono vivide essenze dell’anima creatrice, si manifestano nella coscienza e mi emozionano. Poi l’incontro con l’Università e con docenti che mi hanno fatto appassionare allo studio di questa disciplina. Ricordo con piacere alcuni professori universitari come lo storico Romeo De Maio, gli storici dell’arte Luigi G. Kalby, Joselita Raspi Serra, Angelo Trimarco e, infine, Enrico Crispolti con cui mi sono laureato, con una tesi sulla fotografia sociale in Campania, quando la storia della fotografia ancora non era considerata materia accademica, di studio universitario, se non in qualche raro caso. Momenti straordinari e ricordi davvero indelebili. Altro momento bello, come esperienza umana e didattica, è stata la mia nomina a cultore di Storia dell’Arte Moderna nell’Università di Salerno, grazie al professore Adriano Caffaro, un’esperienza conclusasi troppo brevemente. Purtroppo per un solo anno accademico. Altro momento importante è stato, ed è, quello legato alla collaborazione alla vita sociale e di ricerca del Centro Studi sulla Civiltà Artistica dell’Italia Meridionale “Giovanni Previtali”, fondato e tuttora presieduto dal professore Francesco Abbate. Oggi ricopro il ruolo di responsabile dell’ufficio stampa del Centro Studi “Previtali”, insieme alla storica dell’arte Rosa Romano, e sono direttore responsabile della rivista di storia dell’arte “L’officina di Efesto”, che raccoglie annualmente saggi e contributi scientifici dei soci del centro studi predetto e anche di studiosi esterni. Ma soprattutto la mia gioia più grande è aver avuto la fortuna di insegnare storia dell’arte nei licei. Il contatto quotidiano con i giovani è entusiasmante. Sono il presente e rappresentano il nostro futuro e io li amo e amo insegnare. Con i miei quasi sessantuno anni, mi sento giovane quando quotidianamente vivo accanto a loro e insieme discutiamo di arte, di creatività, di cultura e dei valori del patrimonio culturale che abbiamo in Italia. Con la storia dell’arte ci si può anche “divertire”. Mi sento un privilegiato. Non lo nego. Lo sono. Esercito una professione che mi gratifica e mi entusiasma e questa è la più grande lezione che ho avuto dalla vita e anche la mia più grande gioia. Sono un inguaribile e appassionato amante della storia dell’arte! 

- Insegni Storia dell’Arte in un Liceo Artistico, ti chiedo quindi: verso quali periodi storico/artistici i tuoi allievi dimostrano maggiore interesse? Sono attratti dall’arte rinascimentale, piuttosto che, dall’arte contemporanea o altro? Ci racconti un po’ della tua esperienza di insegnante? 

I giovani, se ben guidati, se con l’impegno assiduo e puntuale, costante, imparano le basi dello studio storico-artistico in maniera corretta, amano tanto l’arte del Rinascimento quanto le avanguardie artistiche del Novecento, per esempio. Ciò vale sia per i miei allievi del liceo artistico quanto per quelli del liceo classico, visto che insegno in un istituto superiore che ha ben quattro licei: artistico, classico, classico europeo e musicale-coreutico. La risposta positiva degli studenti, quella che tutti i docenti si aspettano, dipende dal modo con il quale si insegna, dalla disponibilità di mezzi e di strumenti che possono essere validamente sfruttati nella metodologia dello studio della storia dell’arte. Dipende anche dalla predisposizione del docente, dalle sue doti umane e professionali, dal “carisma”, dai modi di porgere i contenuti e di saperli trasmettere. Un buon docente è un facilitatore di apprendimenti. Si possono trasmettere contenuti anche “difficili e complicati” in maniera accattivante, incuriosendo gli studenti, stimolando la loro voglia di apprendere, facendo capire che oltre il libro di testo, il manuale della disciplina, c’è la realtà, quella delle opere d’arte conservate nelle chiese, nei musei, nei palazzi e che il confronto diretto con l’arte è il modo migliore di imparare a comprenderla e a saperla difendere, tutelare, valorizzare. Gli studenti devono imparare a “saper vedere”. E io, come tanti altri colleghi, cerco di fare questo nel miglior modo possibile. Ma non tocca a me giudicare quello che faccio. Vale sempre e soltanto una “vecchia” regola: gli studenti sono sempre i miglior giudici dei propri professori. 

- L’Italia, sebbene possegga il maggior numero di siti UNESCO rispetto ad altri Paesi Europei, risulta essere il Paese che investe meno nei beni culturali. Qual è il tuo parere in merito? 

Non è soltanto il numero, la presenza e la consistenza di siti UNESCO a determinare in maniera meccanica il piano di investimenti e di spese per la conoscenza, la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, che sono sempre patrimonio dell’Umanità, anche laddove non c’è il “certificato di garanzia” dell’UNESCO. L’Italia è stata sempre l’eterna malata in questo settore. Che è quello in cui generalmente si investe di meno perché, per dirla con un illustre ignorante politicante, «con la cultura non si mangia». È la mentalità dello scellerato scenario di povertà culturale che ha caratterizzato la volontà politica dell’Italia di ieri e, purtroppo, anche dell’Italia di oggi. Non era certamente questa la logica politica di Giovanni Spadolini quando si pervenne alla creazione del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, nel 1975, e non era certamente questa la visione della cultura quando vi fu la Commissione di indagine sullo stato del patrimonio culturale italiano, la famosa Commissione Franceschini (da non confondere con l’attuale ex ministro) per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio che tra il 1964 e il 1967 radiografò l’Italia della civiltà culturale, lanciando un allarme e pubblicando tre voluminosi tomi di un’opera dal titolo “Per la salvezza dei Beni Culturali in Italia”… Oggi il male più grande è quello della mercificazione dei beni culturali visti come “petrolio”, confondendo gli idrocarburi con i colori degli artisti, con i marmi delle sculture, con i fondi luminosi e dorati dei mosaici bizantini e delle opere pittoriche medievali o le altezze delle chiese gotiche o le statue di Michelangelo, Bernini o Canova… Si parlò, già nel 1986, di “giacimenti culturali” proprio come quelli petroliferi, grazie a un certo Gianni De Michelis. Eppure, parlando dell’Italia, nessuna Costituzione al mondo ha previsto la tutela, la valorizzazione, la conoscenza e l’importanza del valore del patrimonio culturale come abbiamo fatto noi italiani con l’Articolo 9. 

Ma nonostante ciò si è fatto poco e male, considerando la nostra identità civile e culturale come qualcosa di nebuloso e di aleatorio. Si fa un gran parlare di beni culturali e di arte, e di turismo, ma nei fatti la volontà politica è pari quasi a zero. E pensare che fin dal Rinascimento i papi avevano a cuore la salvaguardia del patrimonio artistico dell’Urbe e non è un caso se Raffaello Sanzio e Baldassarre Castiglione scrissero una famosa lettera a papa Leone X proprio per la salvezza dell’arte e se Canova protestò con Napoleone per aver trasferito opere d’arte importanti italiane al Louvre, poi in parte restituite. La vera ricetta per fare in modo di tutelare e di valorizzare il patrimonio culturale consiste nella cultura, nella conoscenza della storia dell’arte. Ancora una volta è il mondo della scuola il fulcro di tutto, per creare una base per una vera sensibilità e per la civiltà dei saperi e delle conoscenze che è fondamentale per la formazione della coscienza civile di cittadini rispettosi dell’arte e della storia. Ma nel momento in cui si massacra la storia dell’arte e il suo insegnamento, riducendo il numero delle scuole dove questa disciplina è impartita, e nel momento in cui si è abolito l’indirizzo in catalogazione dei beni culturali dai licei artistici si è dato un colpo fortissimo alla reale importanza dei beni culturali in Italia. Manca una vera coscienza politica verso una rinnovata ed efficace azione in favore del nostro patrimonio culturale: si fa solo un gran parlare, un vociare dove le parole diventano suoni disarticolati e distorti, una biblica torre di Babele dove tutti dicono di tutto, per celebrare il nulla e per fare il niente. Bisogna ridare dignità alla storia dell’arte, far capire che i beni culturali non sono importanti per il loro valore economico, ma perché sono portatori di valori spirituali e culturali di civiltà e vengono ben prima del suono delle monete tintinnanti nel buio dell’ignoranza. E mentre in Italia la storia dell’arte come disciplina di insegnamento è stata massacrata, i nostri cugini francesi l’hanno introdotta in tutte le scuole, affidando anche ad essa la trasmissione dei valori civili e culturali che fanno l’identità del cittadino europeo di oggi. Che dire di più? 

- Ho letto che sei anche un saggista e hai scritto articoli di Arte e Beni Culturali. Ci potresti indicare qualche tuo scritto? Ti è possibile lasciarci il link qui nell’intervista? 

La mia attività di docente procede di pari passo con la ricerca storico-artistica e con l’attività di divulgazione giornalistica. Sono convinto che bisogna andare in giro nel territorio e conoscere, e talvolta anche scoprire, opere d’arte che abbiamo davanti agli occhi e che non conosciamo. Il nostro patrimonio culturale spesso è fatto di opere che sono visibili e latenti allo stesso momento e “Visibile latente. Il patrimonio artistico dell’antica Diocesi di Policastro” è il titolo di una mostra che fu realizzata nel 2004 dal Centro Studi sulla Civiltà Artistica dell’Italia Meridionale “Giovanni Previtali”, a cura del professor Francesco Abbate. Voglio riportare integralmente un passo del professore Abbate, illuminante in questo senso, tratto dal catalogo della mostra che ho citato prima. Scrive Abbate che “Visibile Latente” è «la situazione di un patrimonio artistico che, pur stando sotto gli occhi di tutti, non è né conosciuto né forse riconosciuto come tale, né dal grosso pubblico né dagli stessi specialisti». Di conseguenza lo storico dell’arte deve andare a “caccia”, deve trasformarsi in un cacciatore e in un detective alla ricerca delle opere d’arte sparse nelle nostre italiche contrade, anche nelle piccole chiesette sparse per i borghi di cui è costellato il nostro territorio italiano. E anche io mi sono incamminato su questa stretta e a volte spinosa strada. Mi sono interessato, e m’interesso, di scultura in legno di età barocca e tardo barocca e in particolare di Giacomo Colombo (Este, 1663 – Napoli, 1731), un grandissimo scultore nativo di Este che giovanissimo, dal Veneto, si trasferì a Napoli, divenendo un punto fermo per la scultura religiosa in legno policromato a Napoli, nel Mezzogiorno d’Italia e in Spagna. Di Colombo ho rintracciato e pubblicato alcune sculture inedite, che oggi fanno parte del catalogo delle opere di questo artista: il “San Pietro in cattedra” nella chiesa di San Martino Vescovo a Serre (Salerno); il busto di “San Lupo vescovo”, conservato nella chiesa di San Giovanni Battista a San Lupo (Benevento); la “Madonna del Rosario” nella chiesa di San Giorgio a Postiglione (Salerno). I saggi sono stati pubblicati nella “Rassegna Storica Salernitana”, nella rivista di studi “Il Postiglione” e in altre pubblicazioni. Mi sono interessato poi allo studio di tabernacoli eucaristici rinascimentali, a parete, arredi liturgici per custodire le Sacre Specie, poi caduti in disuso con il Concilio di Trento e utilizzati come custodie per l’olio santo. Ne ho pubblicati alcuni davvero pregevoli, ma mai studiati, ma solo citati di passaggio, nel sud della Campania. E mi sono interessato, all’inizio della mia attività, anche di problematiche connesse alla salvaguardia dei centri storici, pubblicando uno studio sul concetto stesso di centro storico. Una sorta di ampia riflessione per poter pervenire a una possibile definizione. Accanto a questa attività di studio vi è quella di giornalista pubblicista, di recensore di libri d’arte di divulgatore e opinionista legato ai beni culturali e alle opere d’arte e di critico d’arte. Ho scritto davvero tanto che prima o poi dovrò riordinare il mio materiale, ma non so davvero da dove cominciare. Mi dispiace soltanto la ingloriosa fine del quotidiano “La Città”, di Salerno e provincia, chiuso da un momento all’altro con un colpo di mano da parte di un editore poco accorto, che ha licenziato in tronco una ventina di dipendenti, tra giornalisti professionisti e grafici, in un momento nel quale il giornale aveva comunque un buon riscontro sul territorio. Ho scritto settimanalmente su quella testata dal 2013 a qualche settimana fa. Avevo una rubrica settimanale dedicata a opere d’arte del territorio. Ma questa significativa esperienza è tragicamente finita, chiusa. E quando chiude una testata giornalistica è sempre un gran lutto per la cultura e per la diffusione delle notizie. Dal 1997-1998 scrivo sul mensile di cultura “Il Saggio”, dove ho una rubrica fissa che tratta di arte. Chi vuole saperne di più su di me dico soltanto che oltre ad essere su facebook ho un piccolo, e ignorato, blog personale di cui scrivo il link: https://gerardopecci.wordpress.com/

- Il Blog e il Gruppo “L’arte raccontata nei libri” è incentrato soprattutto sulla lettura di libri che “raccontano l’arte”. Ci puoi indicare qualche libro di storia dell’arte che ci tieni maggiormente? 

La storia dell’arte è sempre un racconto. Fin dalle radici del classicismo greco i grandi artisti sono stati celebrati da storiografi e scrittori dell’antichità. La difficoltà consiste nel tradurre il linguaggio visivo, la messa in codice visiva, con le parole, con il codice della scrittura e dell’oralità. Si tratta di linguaggi paralleli, non coincidenti, e non sempre la “microlingua” della storia e della critica d’arte, ossia ciò che noi chiamiamo con il nome di letteratura artistica, riesce a tradurre ciò che vediamo con gli occhi e tocchiamo con mano. Il linguaggio della critica d’arte è un linguaggio “speciale”, a volte sembra essere un linguaggio che usa un lessico per pochi privilegiati, per “iniziati”, per una ristretta cerchia di specialisti. E sui rapporti tra linguistica letteraria e quella storico-artistica si è spesso soffermata la mia attenzione. Da questo punto di vista fa bene la lettura delle “Vite” del Vasari o le “Vite” degli artisti di De Dominici o quelle del Bellori, ad esempio: sono un esercizio importante per capire il lessico e la semantica dei termini da loro stessi usati per descrivere opere e artisti e le loro peculiarità tecniche, in vista poi del “giudizio di valore” che determina la qualità artistica di opere d’arte. Ai nostri tempi un esempio di grande letteratura artistica, di grande e forbita eleganza lessicale e formale, è dato dalla lettura delle opere di Roberto Longhi, il grande profeta novecentesco della storia dell’arte. I libri “raccontano” le arti nella misura in cui chi scrive conosce le arti e le indaga con spirito critico. Ci sono testi e testi. Vanno distinti i saggi scientifici dal racconto di fantasia, ispirato a fatti, luoghi, personaggi e tempi del passato. Si tratta di una sorta di “messa in codice” linguistica dove si usano registri lessicali diversi. Una cosa è scrivere un romanzo, un racconto ispirato a un artista, dove si mescolano fantasie e realtà, anche improbabili e inventate, tipiche della creazione letteraria, ovviamente, altra cosa è scrivere un saggio di storia dell’arte con i crismi della ricerca storica e della più rigorosa filologia. Tuttavia, in entrambi i casi possiamo parlare di “letteratura artistica” in senso lato, ma dobbiamo distinguere la scrittura del saggio da quella del romanzo storico e di fantasia. Faccio un esempio, ma potrei farne tanti. Un testo, ma è solo una mia citazione a caso, che è abbastanza aderente alla visione storica dei fatti, pur essendo sostanzialmente un racconto romanzato, è la biografia di Artemisia Gentileschi scritta da Alexandra Lapierre, pubblicata nella collana di una grande casa editrice. Nel libro l’autrice, con grande garbo e fine sensibilità femminile, riesce a donarci un ritratto molto crudo, vero, della bella artista del Seicento, mettendone in risalto la personalità in rapporto al tempo in cui visse e alle persone con le quali venne a contatto. Ma è un caso raro di incontro tra romanzo e storia. Non altrettanto posso dire, ad esempio, del romanzo di Alex Connor dal titolo “Maledizione Caravaggio. Un grande thriller” che per me è stato un testo deludente, con troppi caratteri legati al mondo odierno e non sempre rispettoso della storia, con la presenza fastidiosa di improbabili giudizi e battute che appartengono alla nostra sensibilità moderna, impossibili per l’epoca di Caravaggio. A questo punto, vista la mia personale delusione verso questo tipo di letteratura di pura fantasia, e troppo spesso di poca o scarsa aderenza alla realtà dell’epoca, preferisco studiare su testi e saggi scientifici che mi danno molta più emozione. I romanzi li lascio alla fantasia e allo svago, che pure sono necessari e indispensabili, ma il racconto della storia dell’arte è altra cosa. Sono tanti i libri di storia dell’arte, la saggistica intendo, che ho amato e che amo, da quelli “storici” di Gombrich, di Berenson, di Venturi, di Crispolti per l’arte contemporanea, di Toesca per il medioevo, di Zeri, di Wittkower, di Hauser, di Longhi, di Previtali, gli studi di iconologia di Panofsky, quello sociologico di Antal sull’arte fiorentina tra Trecento e primo Quattrocento e diversi altri. Di ogni autore posseggo qualche volume. Sono fortunato anche in questo. Qui vorrei proporre la lettura di due saggi che a mio avviso reputo molto stimolanti. Il primo, scritto da James Elkins si intitola “Dipinti e lacrime. Storie di gente che ha pianto davanti a un quadro”, pubblicato da Bruno Mondadori. Il secondo, scritto da Maria Mignini, dal titolo “Diventare storiche dell’arte. Una storia di formazione e professionalizzazione in Italia e in Francia (1900-40), Carocci Editore. Si tratta di libri che vogliono indagare due aspetti importanti che spingono ad amare l’arte. Il primo pone l’accento sull’emozionalità e l’arte. Il secondo sui perché e sul percorso femminile alla formazione della professione di storiche dell’arte nella prima metà del Novecento. 

- In che modo l'arte ha inciso nella tua vita? Quali ripercussioni ha avuto nella tua crescita personale? 

L’arte, dopo l’amore per mia moglie Teresa e i miei figli, è il più grande amore della mia vita. Mi accompagna ogni secondo della mia esistenza, è dentro di me. Ma mi ha reso anche molto più “polemico” e “cattivo” che mai perché se penso all’indifferenza alla cultura e all’inciviltà dei politicanti italiani, e purtroppo anche di certe frange della “cultura” che snobbano le opere d’arte, i beni culturali, il nostro patrimonio di arte e di storia, io non transigo e divento ferocemente polemico. Chi mi conosce sa che non ho peli sulla lingua e che se devo denunciare qualcuno per abusi nei confronti delle opere d’arte non mi arrendo e vado avanti. Vorrei, però, che gli storici dell’arte fossero meno legati al culto di sé e collaborassero di più, senza pensare al proprio orticello, a volte non sempre ben coltivato. Gli sgambetti sottobanco, le citazioni mancate, le false collaborazioni, le notizie carpite di nascosto purtroppo fanno male alla ricerca storico-artistica. C’è bisogno di meno egocentrismo e culto della propria personalità e di praticare un po’ di più il senso della collaborazione, della tolleranza, della solidarietà e della condivisione di intenti e di traguardi da raggiungere. Ci sono troppi galli gracchianti in giro. E poi ci sono le rivalità, a partire da quelle storiche. Penso, per esempio, alle antipatie tra Longhi e Venturi, tra Longhi e Zeri. Grandi storici dell’arte, per carità. Monumenti eccelsi del sapere storico-artistico, padri sacrissimi della nostra disciplina, ma la volontà di essere primi attori non sempre li ha ripagati sul piano umano. E per giunta non manca in Italia anche qualche showman da strapazzo… qualche pagliaccio che crede di essere diventato un mito, forse più di Ulisse: che pena! Ma la storia dell’arte fortunatamente sa resistere anche a queste tempeste, alle invidie e alle miserabili bassezze umane. C’è un testo che consiglierei a tutti di acquistare e di leggere con grande attenzione e che ben mette in evidenza lo status professionale, e anche sociale, di chi fa storia dell’arte professionalmente: “Gli storici dell’arte e la peste”, a cura di Sandra Pinto e Matteo Lafranconi, pubblicato nel 2006 da Electa. Si tratta di un libro che “mette a nudo” proprio tale professione. Quanto a me devo dire che la storia dell’arte e le arti in generale, e anche la conoscenza e la pratica diretta del fare arte (una volta dipingevo…) hanno affinato il mio modo di vedere il mondo e di concepire la vita come una continua conquista di me stesso, anche con grande e spietata autoanalisi. Il primo critico di me stesso sono io. E non sono affatto tenero. 

- Cos’è per te l’arte? 

Semplicemente è vita, capacità di capire il mondo e la realtà attraverso l’imperativo di Marangoni ossia la volontà e la capacità di “saper vedere” oltre lo sguardo leggero, oltre la superficialità, per trovare nelle opere d’arte l’essenza della vita umana e i suoi valori inalienabili. 

- Per chi volesse intraprendere la carriera di Critico d’Arte cosa consigli? 

Bisogna sviluppare la capacità di imparare ad apprezzare quello che il passato ci ha lasciato, girare per chiese e musei, cercare di vedere oltre lo sguardo, andare alla ricerca dell’uomo, fin nei meandri del tempo più lontano. È indispensabile studiare con interesse e sacrificio. Studiare e ancora studiare. Sempre, il più possibile. Poi bisogna confrontarsi con gli storici dell’arte del passato e del presente, leggere i cataloghi delle mostre, frequentare le gallerie d’arte e visitare le mostre e i musei. Bisogna imparare a memorizzare le immagini e a immagazzinarle nella propria memoria e saperle usare all’occorrenza, confrontandole. E poi scrivere, tanto, tantissimo, fino allo sfinimento della mano, e cercare di essere chiari e comprensibili quando si scrive di opere e di artisti, di storia e di storia dell’arte. L’arte è vita e quindi anche la scrittura d’arte deve essere viva e stimolante. Non ci si può improvvisare storici e critici d’arte senza aver fatto un percorso di base, liceale, rigoroso e chiaro e senza aver poi frequentato corsi universitari nel campo dei beni culturali e della storia dell’arte presso le facoltà umanistiche. Un augurio a tutti coloro che sono storici dell’arte o che studiano questa disciplina e i beni culturali. Ma soprattutto sappiate che la sapienza è umile e l’umiltà è sapiente. Non dimenticatelo mai. Non abbiamo bisogno di padreterni, ma di uomini e donne che sanno fare il proprio dovere ed esercitano con competenza e onestà la propria professionalità e non esitano a chiedere aiuto e a confrontarsi con gli altri, dialogando sempre, con la consapevolezza che errare è umano, e che bisogna anche saper chiedere scusa e rimediare agli errori commessi. 

- Quali sono i tuoi progetti futuri? 

Cercare di fare sempre meglio ciò che amo e che è la ragione stessa della mia vita. Il futuro è nelle mani di Dio, mi rimetto a lui. Io, intanto, cerco sempre di essere al servizio della cultura e di essere sempre disponibile al dialogo con tutti. 

- C’è qualcosa che non ti ho chiesto ma che ci tieni a dire? 

Non mi resta che ringraziare con tutto il cuore Manuela per aver pensato a me per questa intervista e aver ospitato qualche mio commento sui suoi social networks.

Grazie ancora Gerardo e complimenti per le tue esaustive risposte. 

Arrivederci in arte

Manuela 

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1 Comment


neradauto
Mar 31, 2022

Leggo sempre con piacevole interesse gli scritti del Prof. Gerardo Pecci. Le sue ricerche sulle opere d'arte e il suo acume nel presentarle danno l'esatta dimensione di quanto Egli possa amare l'arte. Oggi, io porto avanti il mio discorso artistico memore di una sua critica sul mio operato sempre più attuale: "Terra, Aria, Fuoco e Acqua attraverso i" fori"delle sue tele". Grazie Gerardo, ti sarò sempre grata di quel lasso di tempo che ci ha visto camminare insieme tra i sentieri dell'arte. Nera

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