A cura di Paolo Beretti
Esistono pochi e frammentari esempi dell’arte del vetro in Italia dopo la caduta dell’Impero Romano; intendendo sia resti originali di vetrate, sia testimonianze scritte di opere viste o fatte eseguire; tra queste, un trattato del IX secolo parla del modo di “tingere” i vetri a tinta piatta, mentre a Pavia e a san Vincenzo al Volturno restano esempi di vetrate decorate a grisaille di un periodo tra l’XI e il XII secolo. Abbiamo, poi, la descrizione minuziosa delle vetrate perdute dell’Abbazia di Montecassino, realizzate a metà dell’XI secolo da maestri vetrieri chiamati apposta da Costantinopoli.
Le prime autentiche vetrate medievali rintracciabili in Italia si trovano però ad Aosta, riconducibili a circa il 1200 edall’area culturale alpina, facente capo alla Francia e di cui era parte integrante la zona aostana. Il destino dell’arte del vetro appare da questo momento legato strettamente alla teologia: l’abate Suger, infatti, aveva adornato di vetrate la sua chiesa di Saint-Denis in accordo con il concetto teologico che la luce colorata sia diretta emanazione di Dio, per "dirigere il pensiero dei fedeli con mezzi materiali verso ciò che è immateriale". Teoria che derivava dal santo a cui era dedicata la chiesa, lo Pseudo-Dionigi del V-VI secolo, e che diventava tutt’uno con il neoplatonismo di un altro Dionigi, filosofo del I secolo, il quale era ritenuto una stessa persona con il santo cristiano.
Bernardo di Clairvaux, al contrario, criticò severamente questo lusso decorativo in favore della povertà evangelica, ma a breve le divergenze si attenuarono e vedremo che anche il modello cistercense avrà convergenze con Assisi. La natura cittadina delle costruzioni cluniacensi, poi, preserverà fino ad oggi molta della loro arte, mentre i monasteri isolati cistercensi andranno in larga parte in rovina. Seguendo la concezione di Suger, quindi, l’arte della vetrata fiorì compiutamente come parte integrante dell’architettura gotica, causa e non conseguenza delle larghe aperture delle pareti non più portanti. Guillame Durand de Mende, nel suo scritto “Il razionale”, inserisce le finestre nel sistema simbolico religioso: esse simboleggiano le Divine Scritture, lasciando fuori vento e pioggia, ovvero ciò che potrebbe nuocere ai fedeli; facendo invece passare il chiarore del vero sole di Dio, per illuminare il cuore dei fedeli.
Scendendo ancor più nel particolare, le vetrate dovevano avere nella parte bassa, vicina agli occhi dei fedeli da indottrinare, le scene narrative; in alto campeggiavano santi e profeti, ovvero coloro che avevano osservato direttamente la verità celeste: costoro, sotto forma di diafana vetrata si ponevano come veri e propri diaframmi colorati tra il piano divino e quello mortale, illuminato dalla luce che proveniva da Dio e che arrivava colorata, cioè interpretata dal “colore” del pensiero dei dottori della Chiesa. Tutto, nella cattedrale gotica, era inteso come riproduzione della Gerusalemme Celeste, ricca e preziosa; i colori luminosi si ponevano come riflesso dei gioielli divini. Inoltre, la sequenza di iconografie, più vicine alla vita terrena in basso e più eteree in alto, intendevano forse condurre i fedeli in un cammino di crescita spirituale. La grandiosità di questo progetto, che è insieme tecnico, artistico e teologico, si diffuse presto anche in territorio germanico, con contenuti iconografici e stilistici affini a quelli che si stavano sviluppando nelle coeve miniature.
La tecnica della vetrata divenne pertanto una specialità dell’arte del nord Europa per una concomitanza di fattori: teologici, architettonici e legati al clima, in quanto gli affreschi venivano di rado utilizzati dove l’umidità nelle pareti è eccessiva. La presenza stessa delle vetrate in questa chiesa - che costituisce la più completa raccolta di vetrate medievali d'Italia - è quindi il risultato di particolari condizioni: il convento francescano di Erfurt, in Turingia, ebbe come guardiano uno dei primi discepoli di san Francesco, Giordano Giano, che era molto vicino al primo biografo di Francesco, Tommaso da Celano; con tutta evidenza fu questo il motivo per cui, proprio nella chiesa tedesca, vennero rappresentate per la prima volta le scene della sua vita, nel 1235, a soli 9 anni dalla morte. Autori ne furono una o due botteghe di maestri vetrai di Magonza, che lavorarono anche al duomo di Colonia e che vennero probabilmente chiamate ad Assisi in seguito ad una bolla di Innocenzo IV (1243-1254), il quale riconosceva l’eccessiva povertà di decorazioni di questa chiesa. Il permesso papale era obbligatorio, per una chiesa dipendente direttamente da Roma (tale è infatti la chiesa-madre di Assisi: era questa una condizione richiesta dal Vaticano per mantenere sotto controllo i francescani, eccessivamente predicatori di povertà). Al contempo, non è necessario stupirsi della presenza di artisti non italiani, in quanto per gli ordini monastici non valevano i confini territoriali.
Nel 1590 i frati stesero un inventario dei beni da loro custoditi ed aprirono la cassa del “Santo Velo”; qui trovarono - oltre a parti dell’azzurro oltremare inviato dalla Regina di Cipro per le decorazioni della chiesa - un libretto recante le “spese per l’ivetriate”, che probabilmente faceva riferimento agli autori delle finestrature; purtroppo questo libretto è andato perduto. Le prime vetrate realizzate nella chiesa superiore sono le tre dell’abside, le quali riconducono all’ambito germanico per via della tecnica eseguita, dello stile e delle scelte iconografiche. Si ritrovano, in effetti, strette affinità con raffigurazioni presenti in area germanica e l’uso del grafismo Zackenstil, uno stile “frastagliato a zig-zag”, caratterizzato da tratto energico e pieghe dure e spezzate, tipico della scuola di pittura sassone-turingia, di tradizione romanico-bizantina, riscontrabile con evidenza nelle miniature. Mentre l’iconografia segue uno dei punti caratterizzanti la dottrina teologica francescana, che puntava a valorizzare le corrispondenze tra Antico e Nuovo Testamento; ciò era messo particolarmente in atto nel nord Europa più che in Italia, nelle miniature con le tavole dei “canoni” e sulle vetrate con il confronto figurativo tra scene tra loro comparabili: il processo anagogico della verità teologica doveva assumere piena evidenza in forma di immagine.
Ad Assisi si andò oltre, seguendo la teoria delle “tre epoche” dello scrittore visionario Gioacchino da Fiore (morto nel 1202): l’Antico Testamento come “Età del Padre o della Legge”, il Nuovo Testamento come “Età del Figlio o della Grazia” e gli insegnamenti francescani considerati come incarnazione di quella “Età dello Spirito Santo” che avrebbe dovuto iniziare alla metà del Duecento. Il programma iconografico unitario, in effetti, prevede nell’abside le storie dalla creazione del mondo a quelle di Gesù e di Maria. Nel transetto e nelle navate la Genesi, la raffigurazione di Apostoli e Santi, la presentazione di Antonio e l’accentuazione della figura di Francesco, assimilando i due francescani alle persone degli apostoli (Celano descrive Francesco come “novus Apostolus”).
Nei depositi devono essere ancora restaurate e studiate altre antiche vetrate, forse precedenti a queste, provenienti dalla cappella di San Pietro d’Alcantara della chiesa inferiore. Inoltre, diverse vetrate della navata superiore vennero distrutte e sostituite, alcune anche scambiate di posizione. Il periodo di esecuzione delle prime vetrate attualmente in sito dovrebbe essere compreso tra il 1235 - datazione dei lavori a Colonia - ed il 1253, anno di consacrazione della Basilica superiore. Le finestre dell’abside devono essere state messe in opera al più presto, per chiudere la prima parte completata della fabbrica.
Occorre precisare che, inizialmente, soltanto la parte retrostante all’altare poteva avere una ricca decorazione: tale imposizione venne ufficializzata dalla regola del Capitolo del 1260, i cosiddetti editti di Narbona, con i quali si precisava che la povertà dell’edificio sacro poteva avere un’eccezione solamente per principali vitrea post altare maius. Il sole, d’altra parte, era caro a Francesco: “…de Te, Altissimo, porta significazione”. Ognuna delle tre vetrate absidali è costituita da una altissima bifora composta da due elementi verticali, chiamati “lancette”; in alto, centralmente, spicca un rosone a quadrilobo - corrispondente alla sezione architettonica di un pilastro cruciforme - mentre i poligoni mistilinei che collegano lancette e rosone sono semplici strafori. I rosoni di questa chiesa sono ancora nello stile nordico, con colonnette in muratura a simmetria raggiata che dividono piccoli spicchi vetrati, riproponendo il motivo decorativo della ruota (un motivo simbolico risalente addirittura alle epoche preistoriche). Un deciso progresso si ebbe nel 1287, a Siena, dove Duccio e Giovanni Pisano sovrintesero il grande rosone della cattedrale fatto unicamente di vetri colorati: questo lavoro costituì una geniale innovazione che, alla base, ha evidentemente un’analisi dell’esperienza vetraria in San Francesco e in San Galgano.
La lettura iconografica parte da sinistra, infatti la prima finestra è “tipologica”, con concordanze vetero e neo-testamentarie; la centrale reca storie di Gesù che proseguono in quella a destra, terminando con la Pentecoste. Si vedono convivere insieme derivazioni dalle miniature dell’Evangeliario di Aschaffenburg e rappresentazioni arcaiche bizantine (come “la caduta degli idoli all’arrivo della Sacra Famiglia in Egitto”, dal Vangelo dello PseudoMatteo). A questo punto è possibile che i lavori si interruppero, per venire ripresi dopo la morte di Bonaventura da Bagnoregio, avvenuta nel 1274, la cui promessa di povertà poteva aver impedito il proseguire dello sfoggio di luce e colore nel resto della chiesa. Anche se c’è da sottolineare che pure Bonaventura considerava la luce come principio di bellezza e preannuncio della “luce del sole eterno” che inonderà l’avvento del regno dei cieli. Frate Elia paragonò Francesco stesso alla “vera luce meridiana”, con passi tratti dai Vangeli.
Rientrati in patria gli artisti e artigiani tedeschi, dopo alcuni anni dovettero venire rintracciati altri esperti transalpini. Il transetto sinistro è infatti ricondotto ad un’area posta tra il nord della Francia (Strasburgo) e il sud dell’Inghilterra e c’è da ricordare che Assisi aveva frequenti scambi con mercanti francesi, con una loro presenza assidua per il commercio di stoffe pregiate (e con i quali aveva contrattato il padre di Francesco); Celano precisa che lo stesso Francesco parlava e cantava in francese. Esistevano anche contatti tra i francescani ed i conventi cistercensi presenti in Italia. A questo proposito è interessante il caso di San Galgano - figura assimilabile a Francesco (entrambi si convertirono dopo una vita dissoluta, rinunciando alle armi) - e la cui abbazia era in lavorazione in questo stesso periodo: aveva un perduto rosone vetrato ed erano presenti monaci provenienti direttamente da Clairvaux, i quali furono poi chiamati a lavorare alla cattedrale di Siena. Non a caso, il primo artista ad aver eseguito affreschi nella chiesa, nel transetto destro, era appunto di area francese o inglese. In queste finestre viene trattata la Genesi e si inizia il racconto di storie di santi.
A questo punto, però, la tradizione tecnica d’oltralpe sembra passare di mano ed artisti italiani cominciano ad impadronirsene, con un probabile inizio limitato alla fornitura di cartoni (maquette) agli artigiani nordici che eseguivano i lavori tecnici. La successiva acquisizione italiana di questa tecnica è comprovata da un ricettario del XIV secolo conservato proprio nella Biblioteca civica di Assisi, a nome di tale Antonio da Pisa. Inoltre le analisi delle vetrate di Siena rilevano una doppia origine dei materiali, con ceneri di alberi nordici (il potassio del colore rosso) e mediterranei (il sodio del giallo), utilizzate per abbassare il calore necessario a fondere le sabbie silicee.
Nei primi del Novecento la critica spartiva le vetrate seguenti tra Cimabue e Pietro Cavallini, con l’apporto di influenze attribuite a maestranze austriache. In seguito - dagli scritti di Toesca del 1927 in poi - gli esperti concorderanno su di un unico maestro. Gli studi più recenti sono a firma di Frank Martin e Caterina Pirina, con una preponderanza di studi stranieri, maggiormente ferrati su questa particolare tecnica rispetto agli storici italiani.
Il transetto destro è quindi assegnato al cosiddetto “Maestro di San Francesco”, da ricondurre a date posteriori al 1236 (datazione di un crocifisso di Giunta Pisano, modello per questo artista, che era presente in questa chiesa e ora perduto) e vicine al crocefisso di Perugia, di questo Maestro, che è del 1272. Un semplice confronto è possibile tra una stessa scena eseguita sia in affresco - nella chiesa inferiore - che in vetrata, ovvero il Sogno di Innocenzo III. Il tema scelto consiste nelle apparizioni di angeli e del Cristo, che culmina nella sua ascensione nel grande medaglione centrale. La lancetta di sinistra è però interamente decorativa: a parte la considerazione che in epoca medievale qualunque decorazione aveva, prima di tutto, anche significati simbolici, si può ipotizzare che una prevista rappresentazione della vita di Francesco sia stata bloccata o sostituita da ordini superiori: la biografia del Celano venne negata e proibita nel 1266, a favore della Legenda Major di Bonaventura. Oppure, più semplicemente, non si era ancora trovato un artista italiano in grado di cimentarsi con questa nuova tecnica e la vetrata venne realizzata dai soli vetrai.
I due rosoni del transetto risplendono di giallo e azzurro, colori preziosi e astraenti, particolarmente utilizzati in ambito cristiano medievale: la vetrata rivolta a sud enfatizza nella prevalenza del giallo-caldo lo splendore del sole meridiano, quella a nord accompagna con toni celesti-freddi la minore luminosità del cielo.
I particolari contorni delle forature vetrate avevano invece anche un intento didattico, servendo ad una distinzione e identificazione delle diverse figure, per una chiara lettura e per aiutare la memorizzazione delle figure e delle scene. Da notare che in nessuna raffigurazione compaiono l'inferno o il giudizio finale, forse per evitare scene truci in una sostanza diafana che voleva simboleggiare la luce divina.
I lavori impegnarono a lungo la realizzazione della prima vetrata “italiana”, prova ne è che, nella navata destra - rivolta a nord - le prime due vetrate vicine all’altare sono ancora di stile francese e mostrano alcuni apostoli. Sono chiare le tendenze stilistiche lineari strettamente vicine sia alle vetrate, che alle miniature e agli arazzi francesi; tipiche sono le larghe bordure e le figure “guizzanti” sul piano, senza intenti plastici.
Proseguendo verso l’entrata principale, dalla terza vetrata (nVI) si torna al lavoro del Maestro di San Francesco, con i santi Bartolomeo e Matteo; nella quarta (nVII) i santi Francesco e Antonio, con colorazioni dei tasselli colorati molto delicate e assai differenti da quelle di tutto il resto del complesso.
Si può notare che le vetrate italiane, in questa come in altre chiese medievali, tendono a rappresentare figure singole, in confronto con quelle oltralpe che sono maggiormente narrative; in Italia, in effetti, si propende a lasciare nei vetri più che altro decorazioni, stemmi e figure stanti, sviluppando i racconti figurati tramite i cicli affrescati, sostituiti all’estero interamente dalle vetrate.
La navata sinistra - nelle parti ancora originali - è attribuita interamente al Maestro italiano; la prima finestra dall’entrata (sVII) è dedicata alla glorificazione di San Francesco con rappresentazioni frontali assai ieratiche, che - nonostante la concordanza degli storici - evidenziano uno stile di stretta derivazione bizantineggiante che si allontana dalle altre vetrate con santi e apostoli di mano del Maestro: in basso a sinistra Cristo presenta Francesco; a destra, simmetricamente e con la stessa costruzione di due corpi in uno, la Madonna del tipo theotokos (“Generatrice di Dio”, “Madre di Dio”) presenta il figlio. Francesco può qui essere interpretato come un “alter Christus” oppure come un modello di virtù tale da esser degno dell’abbraccio mistico e da venir glorificato dagli angeli, posti in alto, uno per registro, i quali hanno il compito di accoglierlo tra loro e condurlo in alto. Questa vetrata con tutta probabilità ispirò una visione della Beata Angela da Foligno, inerente la tenerezza di quell’abbraccio.
Un precedente illustre, in vetro, di questa iconografia è nella cattedrale di Chartres: il confronto mette in luce la serrata ieraticità mediterranea del disegno italiano, a confronto con la morbida eleganza del gotico francese. Si evidenzia così quanto scrisse Schlosser su tale modello iconografico: “La solenne Theotokos bizantina conserva sempre, anche nel suo ruolo di madre, qualcosa del rigido ethos dell’antichità, mentre in Occidente la Madonna è anche la donna, l’amorosa signora (…) a volte ha dei tratti schiettamente umani persino in Paradiso”.
Ne risultarono particolarmente alterate le successive vetrate. La finestra sVI, difatti, che mostra profeti e santi, fu invertita di posizione con la precedente nel corso dei restauri del ‘900. La vetrata sV, con i santi Filippo e Giacomo Minore, è stata manomessa dai restauri, con numerose integrazioni, tanto che nell’ultima, sIV, con Simone e Giuda Taddeo, la sola figura di Simone è originale e proviene dalla cappella d’Alcantara della chiesa inferiore.
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Consigli di lettura
AA.VV.: La Basilica di san Francesco ad Assisi, Franco Cosimo Panini, Modena, 2002.
Brisac, C.: Le vetrate. Pittura e luce: dieci secoli di capolavori, Mondadori, Milano, 2002.
Brusatin, M.: Storia dei colori, Einaudi, Torino, 19832.
Castelnuovo, E.: Vetrate medievali. Officine tecniche maestri, Einaudi, Torino, 1994.
Chelli, M.: Manuale dei simboli nell’arte, Edup, Roma, 2004.
Clark, K.: Civilisation, B.B.C. and John Murray, London, 1969.
Dell’Acqua, F.: Le vetrate gotiche. I muri-gioiello, in La storia dell’Arte, vol. 5, Mondadori Electa, Milano, 2006.
Duccio. La vetrata del duomo di Siena e il suo restauro, a cura di Alessandro Bagnoli, Camillo Tarozzi, Silvana Editoriale, Milano, 2003.
Eco, U.: Arte e bellezza nell’estetica medievale, Bompiani, Milano, 1988.
Fonti francescane, Movimento Francescano, Assisi, 1986.
Giusto, E.M.: Le vetrate di san Francesco in Assisi: studio storico-iconografico, Alfieri e Lacroix, Milano, 1911.
Marchini, G.: Le vetrate italiane, Electa, Milano, 1956.
Martin, F.G.: Le vetrate di san Francesco in Assisi, Cassa di Risparmio di Perugia - Sacro Convento di Assisi - Casa Editrice Francescana, Assisi, 1998.
Perossi, S.: L’Ile-de-France. La vera luce del Gotico, in La storia dell’Arte, vol. 5, Mondadori Electa, Milano, 2006.
Von Schlosser, J.: L’arte del Medioevo, Einaudi, Torino, 1989.
Infine, nel sito internet del “Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto per la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali” è in corso il progetto di catalogazione di tutte le vetrate artistiche presenti sul territorio nazionale, a cura del gruppo accademico Corpus Vitrearum Medii Aevi; le schede relative alle vetrate della chiesa superiore di san Francesco ad Assisi sono a cura di Caterina Pirina e sono aggiornate al marzo 2001:
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