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Recensione del Romanzo "Cent'anni" di Giuseppe Bordonali

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Recensione del Romanzo "Cent'anni" di Giuseppe Bordonali 

A cura di Valentina Barillari

Cent’anni di Giuseppe Bordonali è un romanzo che narra le memorie di Arturo, un quasi centenario che ripercorre la sua vita. I cent’anni del titolo non si riferiscono soltanto alle memorie del protagonista, ma ripercorrono tutto il Novecento italiano. La vita di Arturo rappresenta la continuità della vita e della storia umana, tanto che spesso il destino dei figli sarà uguale a quello dei padri, nell’ottica all’eterno ritorno dell’uguale di Nietzsche. 

La narrazione comincia enunciando il difficile, anzi inesistente, rapporto tra Arturo e la madre, che sull’eco sveviana della Coscienza di Zeno condizionerà tutta la sua vita. Arturo fa infatti sua l’idea virgiliana secondo cui chi non è stato amato da piccolo sarà sempre infelice nella sua vita, portando nel cuore una spina che solo la morte gli toglierà. L’assenza materna verrà però sublimata dall’amore delle tre donne che lo accompagneranno nelle diverse fasi della vita. 

Arturo narra dunque la sua vita che attraversa tutto il Novecento. La sua storia si intreccia con quella di altri soldati combattenti nella I guerra mondiale, conoscerà D’Annunzio e Ungaretti, a cui ispirerà addirittura la famosa poesia “Soldati”. 

La Storia italiana e quella personale di Arturo vedranno l’ascesa di Mussolini, la seconda guerra mondiale, il dopo guerra, la seconda Repubblica e gli eventi più importanti fino ai giorni d’oggi. Gli anni dal dopo guerra in poi sono però ripercorsi in maniera più veloce, in quanto il protagonista si ritiene estraneo ai contemporanei. Gran parte del romanzo si concentra sulle due guerre, sulla caducità del destino umano, sul dolore, su quanto la vita possa dipendere da situazioni pirandelliane in cui soldati creduti morti si ripresentano vivi tra l’incredulità di chi li ama. 

II romanzo ripercorre minuziosamente la Storia italiana, per cui l’opera risulta sicuramente appassionante per gli amanti della storia, ma è anche un romanzo esistenzialista, in cui ognuno, per quanto si creda padrone del proprio destino, è invece trascinato dalla corrente vorticosa del fiume della sorte.

“Quella che percorriamo su questa terra non è quindi un’unica via, ma unione di più vie percorse in sequenza che ci lasciano, nelle rughe del volto, i ricordi, i dolori, le nostalgie, i rimpianti l’esperienza. Queste vie da noi percorse si sommano, formando la nostra vita”.

Arturo interpreta la propria vita aiutandosi e consolandosi con gli insegnamenti dei grandi poeti del passato. Tante sono infatti le citazioni latine nel libro, da cui si evince la grande cultura dell’autore. Tante sono anche le lingue che si parlano, l’italiano, il latinorum, il siciliano (usato per far parlare la gente semplice, come in Giovanni Verga), il francese, la lingua della madre e il tedesco della balia, che per Arturo sarà sempre la lingua dell’amore. Tante lingue dunque, ognuna con un ruolo diverso nella vita del protagonista, ma che ci ricordano anche il crogiolo di tradizioni del Novecento italiano.

Sinossi

Arturo, professore di latino prossimo ai cent’anni, riassume il dramma della sua esistenza citando Virgilio: “Puer, cui non risere parentes, nec deus hunc mensa, dea nec dignata cubili est.” Chi non ha conosciuto l’affetto dei genitori, non avrà neanche quello degli déi. Così il vegliardo inizia il racconto della sua avventurosa vita: 

“Ma mère. In francese parlava con mia nonna. Mi piaceva la musicalità di quella lingua che però odiavo, perché ritenevo fosse lei ad allontanarmi mia madre.” 

Alla morte della madre Arturo scopre la tragedia che l’ha privato dell’affetto materno, ma anche il padre tiene il figlio a distanza. Autoritario Gattopardo siciliano, lo tratta dispoticamente, per poi pentirsene solo alla fine della sua esistenza. Ad Arturo non resta che rincorrere nelle donne l’affetto negato, trovando in Costanza una sensuale croce e delizia, in Elena la madre dei suoi figli, ed in Laura la tenera compagna della sua vecchiaia. 

Pilota di D’Annunzio durante la Grande Guerra, Arturo scopre poi a Fiume le idee rivoluzionarie di De Ambris, descritte nella Costituzione del Carnaro, che il Vate legge una sera all’Ornitorinco ad Antonio Gramsci: la Libera reggenza del Carnaro dà il voto alle donne, istituisce l’habeas corpus, ammette il divorzio, l’omosessualità e il libero uso di droghe. Fiume riconosce per prima al mondo l’Unione Sovietica, e da essa viene a sua volta riconosciuta. La città vive un momento d’euforia, con le bande musicali che diffondono suoni per ogni via, mentre le navi catturate dagli Uscocchi distribuiscono viveri ed armi. La libertà e l’anarchia dei legionari futuristi, socialisti e antimonarchici viene però stroncata, durante il Natale di sangue, dalle cannonate dell’Andrea Doria sulla città. Arturo mal sopporta il Ventennio, soprattutto per il pessimo rapporto col gerarca locale e, allo scoppio della Seconda Guerra mondiale, segue con ansia i bollettini dall’Africa Orientale, dove il figlio Andrea è pilota. Il gerarca gli fa credere che Andrea sia morto, e ad Andrea, prigioniero in Sudafrica, fa comunicare che tutti i suoi familiari sono deceduti durante un bombardamento. Solo dopo vent’anni padre e figlio s’incontrano casualmente, e l’emozione del vecchio è così intensa da stringergli il cuore in gola. Arturo conosce anche Canepa e la rivolta indipendentista siciliana, quindi racconta la vita sua e dell’Italia, dagli Anni Cinquanta sino al lancio di monetine su Craxi, dinanzi all’hotel Raphael. Il romanzo si conclude col dialogo tra la figlia di Arturo e il nipote:

“- Mamma, parlano già di Seconda Repubblica.

- Sempre a scimmiottare i francesi, noi italiani. 

- Ha nuovamente ragione il principe di Salina: tutto deve cambiare, perché nulla cambi. Cambieranno di numero le Repubbliche, ma la politica sarà sempre affamata di soldi e consenso.

Dal manoscritto alzo gli occhi a mio figlio: insegna al Maurolico di Messina, anche lui latino e greco, come nonno Arturo. Gli sorrido, perché rivedo in lui mio padre, la continuità della vita e della storia umana. Lui mi guarda, m’accarezza e, non so perché, mi sussurra: Incipe parve puer risu cognoscere matrem. Mi dà poi un bacio in fronte e va via, lasciandomi alle parole di mio padre.” 

Chi è Giuseppe Bordonali?

Mi chiamo Giuseppe Bordonali, vivo a Siracusa, dove sono nato sessantaquattro anni fa. Ho già pubblicato cinque romanzi storici con piccole case editrici, ottenendo buon successo tra i miei lettori (Il dono di Ahmet pascià, Morrone editore 2003; Le ali di Icaro, Verba Volant, 2003; Uomini del Conte Rosso, Sovera 2004; Vento di libertà, Sovera 2007; Il segno del cavallo, Santocono 2012).

Titolo: Cent'anni

Autore: Giuseppe Bordonali

Editore: Castelvecchi

Data di Pubblicazione: Gennaio 2019


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