A cura di Manuela Moschin
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La cosiddetta Cappella del Mantegna esposta nel palazzo veneziano Ca’ D’Oro di Venezia, conserva al suo interno l’immagine di San Sebastiano. Un tema ricorrente nella produzione pittorica di Andrea Mantegna (Isola di Carturo, 1431 – Mantova, 1506), il quale realizzò altre due versioni relative allo stesso soggetto: una giovanile conservata al Kunsthistorisches Mueseum di Vienna e una seconda riguardante la fase più matura, che si trova al Louvre di Parigi. Il martire, ammirabile nel palazzo Ca’ D’Oro, risulta essere il più tormentato, per via dell’espressione afflitta che traspare dal suo viso. Pare che l’opera si trovasse nel 1506 a Padova, proprio nella bottega del pittore quando egli morì. Dopo la scomparsa del padre, il figlio Ludovico Mantegna stilò un inventario nello studio dell’artista, occasione per cui scrisse al marchese Francesco Gonzaga: «Gli è un San Sebastiano il quale nostro padre voleva fossi di monsignor vescovo di Mantua per alcune cose […] le quali seriano troppo prolixe da scrivere». Dopo diversi passaggi, il dipinto giunse a Pietro Bembo, il quale probabilmente l’acquisì tramite Sigismondo Gonzaga. Sono le fonti provenienti da Marcantonio Michiel a indicare che il dipinto fu nella casa di Bembo. In seguito appartenne ad Antonio Scarpa e ai suoi eredi. Infine, nel 1893, il San Sebastiano venne acquistato dal barone Giorgio Franchetti per il suo palazzo veneziano. Attualmente è di proprietà pubblica, gestita dalla soprintendenza del Polo museale veneziano. Il barone ci teneva particolarmente all’opera, tanto da allestire all’interno di una sala della Ca’ D’Oro una cappella, decorata di marmi policromi, dalla quale il santo compare da una nicchia semicircolare. La testa ruotata di tre quarti e la bocca aperta del martire, segnati da una profonda sofferenza, uniti al corpo legato e trafitto dalle frecce, infondono nello spettatore una sensazione di compassione. L’effetto volumetrico e scultoreo, associato a quello illusionistico, donano un dinamismo sorprendente. Basti osservare il piede sinistro che poggia sul piano esterno e quello destro, invece, che è alzato. Mantegna riuscì a creare un senso di movimento anche attraverso i capelli, che appaiono scompigliati e i drappi che ondeggiano lievi. Su una candela spenta, in basso a destra, compare un cartiglio con la frase in latino: “NIHIL NISI DIVINVM STABILE EST / COETERA FVMVS” (Nulla è durevole tranne il divino: il resto è fumo). Allievo di Francesco Squarcione, Mantegna ebbe la possibilità di studiare le opere di Donatello, il primo grande scultore dell’età moderna, giunto a Padova nel 1443 per realizzare il monumento equestre di Gattamelata e la decorazione dell’altare Maggiore della Basilica di Sant’Antonio. Andrea riuscì a trasporre in pittura le novità scultoree donatelliane e attratto dall’antico raffigurò nelle sue opere colonne, statue e bassorilievi. L’architettura dipinta si trova in tutta la produzione del Mantegna, che amava dipingere edifici antichi, creando effetti plastici e illusionistici. Possedeva una profonda conoscenza della scultura classica, utilizzando i busti antichi come modelli per i ritratti, oltre ad avere una ricca collezione.
Il Palazzo Ca’ D’Oro, acquistato dal Franchetti, si trova nel quartiere Cannaregio. Si tratta di un’antica dimora del XV secolo, costruita da Giovanni e Bartolomeo Bon. Ora la Ca’ d’Oro è un museo che conserva una collezione d’arte pregiata, un tempo di proprietà dello stesso barone. Le opere ospitate riguardano la scuola veneta, toscana e fiamminga e il celebre San Sebastiano, il fiore all’occhiello dell’intera mostra. La peculiarità di questo palazzo risiede nello stile, una vera e propria svolta dal punto di vista della struttura, in quanto possiede sia elementi del tardo gotico, presenti sui trafori in marmo e sui parapetti delle finestre e dei balconi, sia riferimenti rinascimentali, riferiti al colonnato e ad alcune finestre. Le origini del nome Ca’ d’Oro derivano dalle rifiniture d’oro, che in passato ricoprivano alcune parti della facciata.
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