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Il "Gladiatore Borghese" disegnato da Antonio Canova

A cura di Paolo Beretti

In questa ricerca ho approfondito lo studio di un singolo disegno, opera di Antonio Canova, che viene messo in relazione con il primo viaggio compiuto dall'artista a Roma, in occasione di una delle sue visite alla Galleria Borghese, probabilmente nel 1780. Non riveste una particolare importanza stilistica all'interno del suo corpus grafico, è al contrario un vero e proprio studio didattico di un giovane di 23 anni, allora impegnato a scoprire i segreti dell'arte antica; proprio per questo, però, questo piccolo disegno può aprire un ampio squarcio sulla genesi della sua creatività, oltre a destare interesse su tanti risvolti legati al suo modello, un bene culturale di grande rilevanza. All'interno della rinomata collezione Borghese di arte antica e moderna era, infatti, conservata una scultura che un tempo godeva di notevole fama, molto più di oggi, e che viene ritenuta di epoca ellenistica. In questa prima parte vedremo una analisi di questa scultura, mentre prossimamente passeremo ad analizzarne il disegno canoviano.

Storia della scultura

L'opera scultorea protagonista del disegno di Antonio Canova venne rinvenuta nel 1609 in uno scavo fortuito tra Anzio e Nettuno, frammentata in 17 parti, insieme ad un gruppo con un’amazzone.

Winckelmann ricorda che il sito del ritrovamento è anche il luogo natale di Nerone, il quale spese somme ingenti per abbellirlo, tra l'altro con figure affrescate di gladiatori; anche se lo storico tedesco scarta l'idea che questa scultura rappresenti un vero e proprio gladiatore.

Presto acquistata dal cardinale Scipione Caffarelli, ne fu commissionata la ricomposizione allo scultore francese Nicolas Cordier, esponente del tardo manierismo e specializzato nel restauro di marmi antichi.

Conosciuta come “Gladiatore Borghese” o anche “Guerriero” o “Pugilatore Borghese”, la statua rimase nelle collezioni della famiglia romana fino al 1808.

Nel Settecento il principe Marcantonio IV Borghese decise ampie ristrutturazioni e fece modificare all'architetto incaricato, Asprucci, l’intera sala intorno al tema dell’atletica, in onore del “Gladiatore”, spostato al centro; il piedistallo, che al ritrovamento era ornato di marmi preziosi, venne ulteriormente elaborato con l’inserzione di bassorilievi a tema ginnico, opera di Agostino Penna. Lungo le pareti della stanza furono disposte sculture di giovani atleti o di combattenti e dipinti raffiguranti rinomati campioni, oltre ad una scultura di Alessandro Algardi in marmo nero dedicata al Sonno e a due tele a soggetto mitologico di Jean-Baptiste Tierce, ritrovate di recente.

Gli interventi di Asprucci nell'intera villa erano indirizzati a migliorare la chiarezza di lettura della gran massa di opere presenti, organizzandole in tematiche omogenee e garantendo effetti scenografici ad effetto. La situazione presente a qual momento venne descritta minuziosamente nella guida del 1796 stilata da Luigi Lamberti e un acquerello del francese Charles Percier - relativo agli anni 1786-1791 - visualizza l'ambiente costruito su misura per la scultura, che fu inserito nella sala a lui dedicata nell'estate del 1783.


Immagine 2: il Gladiatore nella sua sala della Galleria Borghese

A questo punto la nostra statua divenne talmente nota che il principe revocò il permesso di trarne ulteriori calchi.

Nonostante il notevole lavoro svolto per le ristrutturazioni, già nel 1799/1800 Marcantonio IV trattò una possibile vendita di pezzi della collezione di famiglia - non andata in porto - con l'inglese Henry Hope.

Alla morte di Marcantonio, il figlio Camillo Filippo Ludovico Borghese (1775-1832), giunto ad una posizione politica assai vicina a Napoleone e sposando la sorella Paolina, si vide nelle condizioni di dover cedere a pesanti pressioni da parte dell’imperatore per vendergli pezzi importanti della collezione di famiglia, nel 1807, per 14 milioni; oltre tutto, ciò avvenne anche in concomitanza con la sua nomina a Governatore Generale dei Dipartimenti Transalpini e Duca di Guastalla, trasferendosi a Torino. Vennero alienati importanti pezzi archeologici, tra cui l'Ermafrodito con il cuscino scolpito da Bernini e reperti antichi scavati da Gavin Hamilton.

Le deportazioni delle opere d'arte furono deprecate con insistenza da Quatremere de Quincy, amico e corrispondente fedele di Canova, ma più toccante è l'esortazione che lo scultore fece direttamente all'imperatore, in prima persona: “Gran orrore, Maestà! (...) Per carità, Vostra Maestà lasci queste cose in Italia giacché formano colezione con tant'altre che non si possono portar via né da Napoli né da Roma”. Proviamo ad immaginare lo stato d'animo del più importante artista italiano alla risposta avuta da Napoleone: “Egli rideva a queste mie esclamazioni”.

Trasferito a Parigi, il Gladiatore entrò nel 1811 nella Salle d'Apollon del nuovo Musée Napoléon.

Alla caduta di Napoleone, nel 1815, Camillo cercò di ottenere indietro quelle opere, ma la presenza di un formale atto di vendita impedì la restituzione dei capolavori, che passarono alla giurisdizione del Louvre, a differenza di altre opere provenienti dall’Italia e prelevate a forza da Napoleone, con metodi meno legali, le quali vennero rintracciate e rimpatriate per merito di Antonio Canova.

L’entità di tali perdite portò il fratello di Camillo, Francesco, ad istituire nel 1833 una fidecomissione che garantisse l'integrità delle opere d’arte rimaste e ne impedisse una futura ulteriore dispersione.

Passato nelle raccolte del Dipartimento delle Antichità Greche, Etrusche e Romane del Louvre, il “Gladiatore” è attualmente esposto nella Galleria Daru ed è stato sottoposto ad un restauro tra il 1996 e il 1997.

Immagine 3: Il Gladiatore Borghese esposto al Louvre

Descrizione della scultura

Il disegno di Antonio Canova raffigura una scultura ellenistica, ritenuta dai più come un originale del I secolo a.C., di marmo pario ed opera dell’artista greco Agasias, nativo di Efeso, figlio di Dositeo.

La firma dell’artista è incisa alla base del finto tronco di supporto:

ΑΓΑΣΙΑΣ ΔΩΣΙΘΕΟΥ ΕΦΕΣΙΟΣ ΕΠΟΙΕΙ

Mi fece Agasias di Dositeo Efesio


Immagine 4: dettaglio della scultura con la firma

Celebre già nell’antichità, quest'opera è da tutti gli studiosi considerata come una derivazione dallo stile di Lisippo. La scultura, infatti, riflette l’evidente influenza delle opere del grande artista della corte di Alessandro, manifestando una volontà di enfatizzazione - tipica del tardo ellenismo - di alcune caratteristiche del IV secolo: allungamento delle membra, gestualità eclatante e dinamica, forte evidenziazione dei muscoli, anche se più sul piano lineare che plastico.

Winckelmann nota come i muscoli dei fianchi siano “più sporgenti, più sensibili ed elastici che in natura”, in quanto gli antichi assegnavano alla muscolatura scultorea “un effetto e un impulso rapidi, e nelle pose intense mettevano in moto tutte le forze istintive della natura” nella ricerca della “possibile varietà”.

Gualdoni vi ritrova la “posa aggressivamente diagonale e dai gesti tesi e potenti” tipica dell’artista di Sicione, ma anche “un ardimento tecnico e un gusto per l’artificiosità tutto nuovo”.

Fuchs ritrova puntuali rimandi a Lisippo nel combattente del Palazzo dei Conservatori e nella testa del giovane che si slaccia un sandalo; lo studio dei muscoli viene però considerato come un esercizio di forza esteriore, con una enfatizzazione che si distacca dalla vera e propria funzionalità organica; tutto l’insieme del corpo e delle membra sarebbe sottomesso all’espressione di una pura energia ed alla composizione di una forma geometrica nello spazio: “Le fluide forme del corpo della forma dell’apparenza tardo classica sembrano quasi congelate, indurite, e a dispetto di ogni apparente verosimiglianza anatomica sono ora come mummificate”. Lo studioso tedesco la comprende tra le opere appartenenti agli anni intorno al 100 o agli inizi del I secolo a.C.

Immagine 5: Il "Gladiatore" da un altro punto di vista

Ridgway esclude la provenienza da un originale gruppo bronzeo inserito in un frontone, considerando la perfetta resa da tutti i punti di vista; contesta pertanto le opinioni di Smith e Stewart che ritengono Agasias copista da un gruppo originale in bronzo, dedicato dagli Attalidi a Pergamo. La presenza della firma porta a supporre una esecuzione in terra greca per il mercato romano e sposta la datazione al tardo secondo secolo: la mancanza stessa di un punto di vista principale proverebbe la non conoscenza della destinazione finale. Il tardo ellenismo sarebbe indicato dall’apertura spaziale e dal forzare l’immaginazione degli spettatori per figurarsi il destinatario invisibile del colpo sferrato dal guerriero, il quale presenta una posa standard per le azioni violente, simile ad una figura dell’Amazzonomachia del Mausoleo di Alicarnasso (ora al British Museum); viene lasciato nel dubbio pure il destino del guerriero, che potrebbe vincere o soccombere nel momento successivo a quello nel quale è stato per sempre immortalato.

Moreno situa l’opera nel periodo dell’ellenismo tardo, 168-31 a.C., quando una scuola scultorea ionica lavorava per più committenti, in diverse località greche, sempre apponendo la firma ed il luogo natio (Efeso) dell’artefice. L’iscrizione, più precisamente, è posta sulla scultura vera e propria e non sul basamento: ciò starebbe ad indicare una commissione lontana dal luogo di produzione - probabilmente romana - e la consapevolezza che la propria opera sarebbe stata destinata a spostarsi; potrebbe inoltre costituire una volontà di sminuire il basamento, in quanto le sculture a tutto tondo di questa epoca erano concepite per venire immerse in un contesto illusionistico più ampio.






Immagini 6, 7, 8: vista frontale e ingrandimenti della testa

Con la precisione descrittiva che lo contraddistingue, lo studioso italiano precisa che il braccio sinistro protendeva lo scudo, del quale rimane il bracciale, mentre il destro preparava un colpo di spada dal basso, con una parata che precede l’affondo. Esiste una analogia stilistica con il Galata ferito ora al Museo Nazionale di Atene, proveniente da un gruppo pergameno: il corpo appare modellato, allo stesso modo, da un modello reale, ma nel Gladiatore “è l’insolito predominio della stiratura rispetto alla contrazione dei muscoli, sicché ne nasce un rilievo quanto mai vibrante”. La descrizione anatomica riprodurrebbe addirittura un modello spellato, inserendosi pienamente nel rapporto tra arte e scienza del mondo ionico.

L’ispirazione sarebbe tratta da Leocare, autore del celebre Apollo del Belvedere, dell’Amazzonomachia sopra citata, oltre che di modelli caratterizzati da pose innaturalmente allungate; mentre il “controllo matematico” sarebbe di derivazione lisippea.

Da notare, ancora, l’importanza della notazione fisionomica: il doppio mento, l’ovale allungato del viso, le particolarità delle labbra, gli occhi piccoli, la fronte bassa, le tempie strette… tutte caratteristiche di un ritratto al naturale, strettamente vicine ad un ritratto in bronzo proveniente dalla palestra di Delo, ora ad Atene, Museo Nazionale. Tali innovazioni farebbero quindi propendere per un originale, diversamente da quanto ipotizzano Charbonneaux e Robertson, che pensano ad una copia da Lisippo.

Anche Winckelmann parla del realismo della scultura, paragonata al puro ideale dell'Apollo e del Torso del Belvedere ed alla sublimazione dell'ideale nel Laocoonte: “Nel Gladiatore vediamo invece la sintesi delle bellezze naturali d'una età perfetta senza aggiunte dovute all'immaginazione. Le prime tre statue conducono come un canto epico dal verosimile oltre la verità al portentoso, ma questa quarta è come la storia che espone la verità con parole e concetti scelti”. E si sofferma in particolare sul naturalismo del volto: “Nel viso appare evidente che le sagome sono state prese dalla natura, poiché è rappresentato un uomo non più nel fiore della giovinezza, ma nell'età virile che mostra i segni di una vita assuefatta all'attività e alla fatica.”

Riguardo la posa e tralasciando le influenze stilistiche, si può dire che un tale modello è stato più volte trattato nel periodo propriamente classico; l’esemplare di forse più alto prestigio è l’Eracle combattente, ora alla Centrale Montemartini di Roma, attribuito da Moreno a Prassitele, come originale proveniente dal frontone del tempio di Eracle a Tebe, tra il 372 e il 362 a.C.



Immagine 9: Eracle combattente, IV secolo a.C., Roma, Centrale Montemartini

Alto cm. 157, l’uomo scolpito da Agasias e poi ritratto da Canova in tale posa dinamica venne interpretato tra il '600 e il '700 come un gladiatore o un pugilatore.

Mancando gli strumenti di guerra, la statua può apparire tesa all’offesa e, difatti, il punto di vista del disegno canoviano induce facilmente ad immaginare un uomo che sta attaccando l’avversario.

L'iniziale identificazione con un Gladiatore venne dapprima trasposta in un pugile (da Montfaucon), poi in un generico guerriero (Winckelmann) o nel guerriero Telamone padre di Aiace, compagno di Ercole (da Visconti).

Winckelmann, contestando l'ipotesi di un discobolo a lui proposta da von Stosch, analizza la posa, riscontrando la cinghia dello scudo sul braccio proteso e immaginando una lancia nella mano destra. “Se si osserva che la testa e gli occhi sono volti in alto e che la figura sembra proteggersi con lo scudo, si può a maggior ragione riconoscere in questa statua un guerriero che l'abbia meritata per qualche azione particolarmente valorosa.” Anche perché “sembra che in Grecia l'onore di una statua non sia mai stato concesso ai gladiatori, i quali probabilmente non erano ancora conosciuti dai Greci quando questa statua fu eseguita.”

Un'altra limitata polemica venne imbastita dallo stesso Canova, in contatto epistolare con l’amico Quatremère de Quincy: il letterato francese riteneva che la statua raffigurasse un oplitodromo, ovvero un atleta che partecipa ad una corsa, munito di scudo e lancia; l’artista italiano, invece, impegnato in una delle prime serie ricerche filologiche sulla statuaria antica, riconobbe “un guerrier combattente, armato di lancia e scudo soltanto, senza elmo, balteo, clamide, ecc.”. Canova in questo caso studiò i dettagli delle stampe di alcuni volumi del Museum Etruscum, in suo possesso.

In una replica recente nel castello Schlosser Charlottemburg ci si può rendere conto dell’effetto che questa statua provocava in epoca antica, dotata delle armi ipotizzate dagli studiosi: il braccio sinistro allungato era volto alla difesa, imbracciando uno scudo bronzeo perduto, mentre la mano destra, ritratta, impugnava la spada.


Immagine 10: copia del "Gladiatore" ricostruita nel Castello Charlottenburg di Berlino

Fortuna della scultura

Questa scultura godette di notevole fortuna nel corso del XIX secolo. Una prova della notorietà di questa scultura nel passato rimanda al noto artista settecentesco inglese Joseph Wright of Derby il quale, nell'ambito dei suoi studi sugli effetti di luce e come prima prova di “luce interna” a lume di candela, dipinse “Three persons viewing the gladiator by candlelight”; questa opera, ora al Louvre, riveste una certa importanza in quanto fu la prima che il pittore presentò alla Society of the Artists e osservandola veniamo a conoscenza che il “Gladiatore” era tanto rinomato da essere stato riprodotto in versione ridotta.



Immagine 15: Three persons..., di Wright of Derby, 1765, Louvre

L'arte del XVIII secolo, pur senza riprese puntuali della posa del “Gladiatore”, mostra sovente una magniloquenza che deriva con tutta probabilità dal gesto della scultura ellenistica; citiamo come esempio le tante figure protese di Füssli o i gesti imperiosi di David, nel Giuramento degli Orazi e in quello della Pallacorda.

Consigli di lettura

Sulla vendita a Napoleone della Collezione Borghese

Wescher Paul: I furti d'arte. Napoleone e la nascita del Louvre, Einaudi, Torino, 1988.

I marmi antichi della Galleria Borghese. La collezione archeologica di Camillo e Francesco Borghese. Guida-catalogo, a cura di P.Moreno e A.Viacava, De Luca, Roma, 2003.

La Stanza del Gladiatore ricostituita, a cura di A. Coliva, M. Minozzi, Skira, Milano-Ginevra, 2004.

Vaiani Elena: Galleria Borghese, Rizzoli-Skira, Milano, 2006.

Sulla scultura del “Gladiatore Borghese”

Genga Bernardino: Anatomia per vso et intelligenza del disegno ricercata non solo su gl'ossi, e muscoli del corpo humano; ma dimostrata ancora su le statue antiche piu insigni di Roma delineata in piu tauole ... per istudio della Regia Academia di Francia pittura e scultura sotto la direzzione di Carlo Errard ... Preparata su'i cadaueri dal dottor Bernardino Genga ... Con le spiegazioni et indice del sig.r canonico Gio. Maria Lancisi ... Opera utilissima a pittori e scultori et ad ogni altro studioso delle nobili arti del disegno ... Libro primo (1691), in Roma : data in luce da Domenico de Rossi, herede di Gio. Iacomo de Rossi nella sua Stamperia ... alla Pace, il di 15 settembre 1691.

Winckelmann Johann J.: Storia dell’arte dell’antichità (1764), Bompiani, Milano, 2003.

Winckelmann Johann J.: Il bello nell’arte (1762-1767), Einaudi, Torino, 1983.

Nicolson Benedict: Wright of Derby, Fratelli Fabbri, Milano, 1966.

Fuchs Werner: Storia della scultura greca, Rusconi, Milano, 1982.

Moreno Paolo: Scultura ellenistica, vol. II, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1994.

Sismondo Ridgway Brunilde: Hellenistic Sculpture II. The Styles of ca. 200-100 B.C., The University of Wisconsin Press, Madison, 2000.

Moreno Paolo: La bellezza classica. Guida al piacere dell’antico, Allemandi, Torino, 2001.

Gualdoni Flaminio: Arte classica, Skira, Ginevra-Milano, 2007.

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Articolo eccellente. Denota approfondita conoscenza della materia e notevole capacità divulgativa. Molto belle anche le foto. Grazie infinite.

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